“Che mi venga un colpo…ma quello è Pietro!…” lasciò cadere i secchi di botto e un tiepido fiume bianco prese a scorrere lungo la discesa, sciogliendo il sottile strato di ghiaccio che si era formato nella notte; Gino si chinò e con tutte le sue forze cercò di sollevare il povero Pietro.
“Forse è ubriaco…eppure no, lui non beveva …forse si è sentito male per il freddo…forse è morto…” e fu quest’ultimo pensiero che gli gelò il sangue nelle vene, ancor prima di notare la ferita fra i capelli neri dell’uomo, uno squarcio profondo, coperto di sangue rappreso e fango ghiacciato. Gino si alzò in piedi terrorizzato; quando riuscì a staccare gli occhi da quelli sbarrati di Pietro, si guardò intorno: il silenzio profondo fu interrotto soltanto dal canto di un gallo lontano, al quale rispose l’ululato del cane della canonica. Il prete…sì ecco, doveva correre ad avvisare il prete; la luce era già accesa nella grande cucina a piano terra, dove la perpetua stava accendendo il fuoco nel camino. Gino bussò contro i vetri e la donna spaventata, anziché avvicinarsi alla finestra, scappò urlando su per le scale:
“Don Sergio…Don Sergio! Correte, c’è uno con la faccia da matto che bussa alla finestra…o Santa Madre…venite giù subito!” Dopo pochi minuti il pesante catenaccio del portone si aprì e comparve il prete con l’abito talare ancora mezzo sbottonato.
“ Don Sergio…una disgrazia…- Gino tremava come una foglia e respirava a fatica – c’è un uomo, Pietro il calzolaio, morto stecchito nel fosso.”
Il prete si segnò : “Portami da lui. Lo sapevo che finiva male…lo sapevo! I Comandamenti ci sono per essere rispettati… Hai avvisato qualcuno?”
Gino senza capire il senso di quelle parole fece strada al prete e rispose che aveva pensato solo a cercare aiuto e che ancora non lo sapeva nessuno.
“ Ecco…bravo…tu adesso corri a chiamare il Dottor Monti e non parlarne con nessun altro per ora…poi ti dirò io cosa fare…- quando furono in vista del fossato e del cadavere il vecchio prete vacillò per un attimo ma subito si riprese – cosa aspetti? Vai dal Dottore e digli di correre qui, poi torna a casa e prega, prega tutto il giorno per l’anima di Pietro, capito? Vai…” e con un gesto autoritario spinse via Gino.
Il prete rimase solo, in piedi , impotente coma mai prima d’ora di fronte a quella morte annunciata.
Il cielo si faceva sempre più chiaro e ora numerosi galli salutavano l’alba in tutta la vallata; il cuore di Don Sergio sembrava scoppiargli nel petto.
Lo sapeva…lui lo sapeva, perché Pietro glielo aveva confessato una sera di qualche mese prima, non in chiesa, né inginocchiato nel confessionale ma nella sua bottega , quando era andato a ritirare due vecchie scarpe risuolate.
“Quanto ti devo Pietro?- Pietro aveva posato gli attrezzi in modo quasi solenne, aveva preso la scatola del tabacco e lentamente si era arrotolato una sigaretta.
“ Don Sergio…non mi dovete niente. Però una cosa ve la chiedo e cercate di rispondermi da uomo e non da prete : secondo voi il primo comandamento, il più importante di tutti non dovrebbe mica essere AMATE…? Amate e basta...Tutti gli altri vengono dopo…”
“ Pietro tu stai bestemmiando….ti rendi conto di quello che hai detto?” il prete ricordò di aver preso una sedia e di essersi seduto davanti al calzolaio , che lo guardava dritto negli occhi, come per sfidare lui e tutto quello che rappresentava:
“ Secondo me, che non ho neanche studiato, ma le cose mi vengono dal cuore, in cima alla lista Quello Lassù doveva scrivere PRIMO COMANDAMENTO: AMATE e basta….”- ribadì Pietro, che aveva parlato con rabbia, con gli occhi lucidi di febbre o di qualcosa simile alla follia..
“ Ma state tranquillo padre…il peccatore non è matto abbastanza… a Pietro, il peccatore, gli hanno insegnato che ci sono dei doveri e Pietro sa rinunciare, forse perché gli hanno sempre detto che dev’essere un buon cristiano…”
Pietro si era alzato di scatto, facendo cadere rumorosamente lo sgabello e aveva dato le spalle al prete : “Prendetela come uno sfogo o, se preferite, come una confessione…ma non assolvetemi perché non ho peccato.”
Quando si era girato di nuovo verso di lui, Don Sergio vide che tutta la rabbia di prima era sparita dai suoi occhi , lasciando il posto a una tristezza immensa e ad un’altrettanto pesante rassegnazione.
“Scusate padre, ora devo chiudere. Mia moglie è a letto malata da due settimane e se non ci penso io a darle le medicine e farla mangiare un po’, da sola certo non si aiuta…e nemmeno Dio ci sta aiutando…”
“ Pietro…i comandamenti vanno rispettati, tutti quanti…tutti, capisci? Li ha voluti quel Dio che adesso tu stai offendendo e che non se lo merita, perché ti ama, perché lui stesso è amore…”.
Don Sergio si era portato sulla soglia e Pietro nella penombra gli aveva sussurrato:
“ Padre, non ci verrò più in chiesa.” – e aveva chiuso la porta alle sue spalle, senza lasciargli il tempo di rispondere.
Don Sergio s’inginocchiò accanto al corpo gelato e solo ora capì che le parole di quella sera nella bottega erano state una richiesta d’aiuto, che lui non aveva saputo cogliere, tutto preso com’era dal suo ruolo di pastore della anime, di correttore degli errori umani, lui, che quella volta aveva commesso l’errore più grave, quello di non ascoltare chi , pur bestemmiando, invocava aiuto.
Guardò il volto pallido e coperto di brina del calzolaio e si domandò che specie d’amore poteva essere quello che distrugge un uomo; un amore che uccide non poteva essere amore e allora forse lui non aveva sbagliato del tutto quando aveva rimproverato Pietro : altro che primo comandamento! Non sono mica tutti uguali gli amori…ci sono gli amori umani deboli e fragili e poi c’è l’amore divino, assoluto e perfetto.
Nella mente del vecchio prete si affollavano mille dubbi e a molti si accorse di non saper rispondere; non ne era capace e non voleva nemmeno provarci. Lui, vecchio prete di campagna, che era vissuto ligio ai Comandamenti e aveva predicato sempre affinché fossero da tutti osservati, senza porsi troppe inutili domande ora, sul cadavere di quell’uomo si stava chiedendo dove aveva sbagliato. Istintivamente afferrò la mano irrigidita di Pietro, come per strappare una risposta da chi non poteva più dargliela e fu in quel momento che vide la rosa segnatempo nel pugno chiuso del morto.
“O Signore…e questa…? – provò a forzare quella morsa di ghiaccio ma senza nessun risultato. Si limitò allora ad osservarla più da vicino: i primi raggi del sole, che spuntava dietro la collina, facevano brillare i petali sfumati di rosa di quel piccolo fiore, un barometro, uno di quegli oggetti che diventavano rosa o azzurri a seconda del tempo .E all’improvviso gli fu tutto chiaro, come se tutta la conoscenza del mondo scorresse lì, davanti a lui, sotto lo strato di ghiaccio di quel fossato.
Bianca, la giovane moglie del Dottore, quell’autunno aveva mandato in canonica la serva, pregandolo di recarsi a Villa Monti, perché aveva bisogno di un grosso favore.
Don Sergio salì la collina in un tiepido pomeriggio in cui i boschi cominciavano a tingersi e a dare spettacolo coi loro colori accesi; era la sua stagione preferita e aveva colto di buon grado l’invito della signora Bianca, approfittandone per rilassare la mente e il corpo in mezzo alla tranquilla natura autunnale.
“ Salve regina, mater misericordiae…” – cantava il prete, con l’affanno nella voce,dimenticando qui e là qualche parola – illos tuos misericordes oculos ad nos converte…”
“Buongiorno padre, la signora la sta aspettando in salotto” – la serva ossequiosamente gli fece strada.
Bianca, pallidissima e con gli occhi arrossati di chi aveva pianto a lungo, gli rivolse un sorriso forzato e lo ringraziò per essere arrivato fin lassù:
“Don Sergio, mi scuso tanto per non essere venuta personalmente giù in paese, ma sono reduce da un’influenza che mi sta ancora creando qualche fastidio…” - mentiva e nemmeno tanto bene, perché sembrava stesse sempre sul punto di scoppiare in lacrime; il problema era un altro di sicuro, pensò il prete distrattamente.
“Ecco…senta, io volevo chiederle un favore: avrei bisogno…- e si fermò un istante, come per prendere fiato o forse coraggio, chissà- avrei tanto bisogno che lei venisse qui appena possibile, nella cappella di famiglia, a dire una Messa.”
“ Signora Bianca, è forse l’anniversario della morte di qualcuno? Non mi sembra di ricordare…”
“No. Nessuna ricorrenza. Ne ho bisogno io.” – a quel punto una di quelle lacrime così a stento trattenute scivolò lungo la guancia di Bianca e lei non fece più nulla per fermarla.
Anche in quell’occasione al vecchio prete mancò il coraggio di compiere fino in fondo la sua missione, aprendo il suo cuore a chi vi cercava conforto; al contrario si irrigidì e pensò che era meglio non fare domande e non entrare in fatti privati, fatti di famiglia che lui, sacerdote, non poteva certo comprendere : in fondo gli faceva comodo così, perciò rispose con cortesia che avrebbe cercato sul calendario la prima data utile e gliel’avrebbe comunicata al più presto.
La signora Bianca lo pregò di seguirla nello studio adiacente, in quanto preferiva pagare anticipatamente il suo disturbo; si avvicinò ad uno scrittoio sul quale, in bella vista stava una rosa segnatempo, piccola, di forma delicata, così scintillante che sembrava brillare di luce propria.
Fuori c’era il sole e l’aria era tiepida, eppure il colore del fiore tendeva al rosa, segnale di cattivo tempo e di aria umida; il prete notò questa stranezza, poi ringraziò la signora per la generosa offerta e si accomiatò da Villa Monti. Mentre scendeva verso il paese si accorse che il suo cuore non aveva più la leggerezza di prima e il suo canto divenne una sommessa preghiera:
“Ad te suspiramus gementes et flentes in hac lacrymarum valle…” gli faceva da sottofondo il rumore delle foglie secche sotto ai piedi.
Un rumore diverso, quello di un’auto che si avvicinava, riportò Don Sergio al bordo del fosso. Forse stava arrivando il Dottor Monti e il prete con tutta la forza che aveva strappò quella rosa dalla mano del morto e se la mise in tasca: ora erano anche un pò fatti suoi e della sua coscienza. L’auto, un’elegante Fiat 600 blu, si fermò sul lato della strada e ne scese un austero Dottor Monti, insieme a Gino che, rispettosamente, si tenne in disparte :
“Che succede? Un ubriacone che ci ha lasciato le penne?” – non si abbassò nemmeno a guardare il cadavere , estrasse dalla tasca del cappotto un modulo e ad alta voce stilò il suo referto di morte: infarto acuto del miocardio in soggetto alcol-dipendente.
“Dottore, guardi che di Pietro tutto si può dire tranne che beveva !”- Don Sergio avanzò una timida difesa, peraltro vanificata da quel “tutto si può dire”- e poi dottore, mi scusi , ha visto quella ferita in testa?”
“Quale ferita? – il medico solo allora si chinò e per un attimo il prete vide sul suo volto una smorfia di disprezzo e quasi di soddisfazione – di sicuro ha battuto la testa cadendo su qualche sasso… Padre, lei pensi all’anima del morto che al suo corpo ci penso io. Anzi, per favore vada avanti lei ad avvisare la vedova ; noi carichiamo la salma in macchina e vi raggiungiamo…Gino, mi aiuti!” fu nello stesso tempo un ordine e una brusca esortazione a chiudere la faccenda.
A casa di Pietro Don Sergio trovò la porta aperta, senza alcun catenaccio; aprì e chiamò la vedova. Al piano terra , dalla bottega alla sua destra arrivava un aspro odore di cuoio, mentre dalla cucina, sulla sinistra, nessun aroma di caffè, solo buio e freddo, anche se ormai era mattino. Salì faticosamente la ripida rampa di scale che portava al piano superiore e quando chiamò più forte la vedova, dalla camera chiusa sentì:
“ Pietro, sei tu? Bell’orario per rientrare …che il diavolo ti possa prendere …”
“ Signora Lucia, sono Don Sergio – rispose il prete con la mano sulla maniglia della porta – posso entrare?”
La stanza era in penombra e sapeva di chiuso e di medicinali:
“Ho brutte notizie, Lucia: io non so se se l’è preso il diavolo e non so nemmeno dove sia ora la sua anima…so dov’è il suo corpo, perché l’hanno trovato nel fosso circa un’ora fa…mi dispiace. “
Lucia non versò una sola lacrima, non ebbe un solo gesto di sconforto o di disperazione:
“ Qualche volta tornava a casa all’alba.” – disse, poi scivolò lentamente sotto le coperte e il prete in silenzio uscì; scendendo le scale per un attimo gli parve di sentire un lamento soffocato ma forse era solo il vento.
La rosa nella sua tasca era piccola eppure pesava sulla sua coscienza come un masso; voleva liberarsene, riportarla alla signora Bianca ma questo avrebbe significato davvero aprirle le porte del suo cuore, chiederle di parlare con lui, di sfogarsi, avrebbe dovuto cercare di comprenderla, di averne compassione, nel senso più intimo del termine e condividerne il dolore; meglio mettere l’oggetto in un pacchettino e mandare la perpetua a Villa Monti a restituirlo; se poi la signora Bianca avesse sentito il bisogno di andare in chiesa a confessarsi, allora sì che l’avrebbe trovato al suo posto, disponibile come sempre a cercare di correggere gli errori umani e ad impartire le sue prediche. E così fu che la piccola rosa segnatempo tornò sullo scrittoio e lì rimase per un po’, fino a quando Villa Monti fu chiusa e la famiglia del dottore si trasferì in città. La loro partenza non bastò a far cessare le chiacchiere di paese e per tutta la primavera e tutta l’estate ognuno disse la sua:
“ Ma va là! Hanno detto che gli è venuto un colpo al povero Pietro! Ma se era sano come un pesce…e il dottore lo sapeva bene!”
“ Magari beveva ogni tanto. Soddisfazioni ne aveva poche nella vita…la moglie malata, la gente che non pagava…chissà, forse ogni tanto si faceva un goccetto per star un pò allegro…”
“ La soddisfazione la prendeva a Villa Monti, dai…lo sanno tutti! E lo sapeva anche il dottore…che quella mattina lì faceva finta di niente…!”
A volte le supposizioni intorno al tavolo dell’osteria, o nella bottega del droghiere, diventavano sentenze o certezze:
“ Qualcuno ha visto il dottore in giro quella notte e ha detto che sembrava matto…piangeva e gridava Maledetto…maledetto…io ti ammazzo!”
Con l’arrivo della stagione autunnale anche le voci persero d’intensità e quasi si dileguarono nelle piogge sempre più fredde e nelle prime nevicate, fino al giorno dei morti, quando tutto il paese , entrando nel cimitero, vide spiccare sulla tomba di Pietro una piccola rosa segnatempo così brillante che sembrava sprigionare luce propria ; nessuno si accorse del sorriso di Don Sergio, che spesso, durante la funzione, si girò a guardarla. In seguito, per molti anni a venire, nella giornata dei defunti e solo in quella, il piccolo fiore luccicante comparve misteriosamente, a volte azzurro se il tempo era buono, a volte rosa se era cattivo ; per molti anni a venire, le voci di paese in quella ricorrenza si rianimavano di nuova energia, assumendo via via toni sempre più fiabeschi e avvolti di magia. Nel frattempo il vecchio Don Sergio passò a miglior vita insieme a molte delle anime alle quali per anni aveva insegnato a rispettare i comandamenti; Villa Monti fu venduta e nessuno vide mai più né il dottore né la signora Bianca; Lucia, la vedova, piano piano guarì e si trasferì in un paese a pochi chilometri, presso la sorella e lì si risposò; Gino il timido, ubbidiente alla raccomandazione di Don Sergio e ad un suo personalissimo comandamento privato, non parlò mai con nessuno di quella vicenda, neanche quando gli veniva offerto un bicchier di vino in cambio.
Molte stagioni trascorsero da quell’alba gelida di fine gennaio, molte persone lasciarono il paese, molte nacquero e vissero sempre lì, tramandando di padre in figlio la leggenda della rosa segnatempo, finchè in un’altra epoca, intorno agli anni settanta, accadde che la rosa sulla tomba non comparve più nel giorno dei morti e la gente del paese parlò d’altro.
( Sara Ferraglia, racconto finalista al Premio Fiurlini- L'Aja 2006 )
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