giovedì 21 maggio 2009

Lo scatto di un gatto



Lo scatto di un gatto.
Condivido, ormai da molti anni, cinquanta metri quadrati con il Poeta, che declama i suoi versi ad alta voce di giorno, di notte e in ogni stagione dell’anno, fino allo sfinimento. Col tempo, anche per me, la rima è diventata prima un’ossessione, poi una naturale forma mentis: penso solo a frasi brevi e, di solito, in rima.
( Mi fermo e poi scatto
Lo sguardo di un gatto
Dal vetro appannato
Di quel caseggiato )
Non ricordo nemmeno quando è cominciato. Ci fu un momento in cui decisi che preferivo uscire la notte, per non sentire più la sua voce e da allora fu così.
“Ma come? Esci con una sera da lupi come questa? C’è una nebbia che si taglia col coltello.”
( Mi fermo e poi scatto
E sempre quel gatto
Si struscia sul muro
Là dov’è più scuro )
Mi struscio languidamente conto lo stipite della porta e con lentezza scivolo fuori, nel buio
“Aspetta...vieni dentro…oh anima ingrata non m’abbandonare!…” il tragico lamento del Poeta mi annebbia la mente...un ultimo sguardo alle mie spalle e poi la rapida e silenziosa fuga.
( La voce attutita
Nel silenzio invita
Qualcun a tornare
E il gatto scompare )
Una notte che mi trovai a passare da Borgo Onorato cominciai anche a camminare in modo diverso, a scatti, brevi corse seguite da altrettanto brevi pause contro il muro e nei portoni bui e da allora cammino così, furtivamente. Se poi la nebbia cala sulla città, l’atmosfera è ideale per sciogliere le briglie della mia dimensione animale.
( La nebbia m’avvolge
E tutto stravolge
In fondo alla via
Qualcuno mi spia )
Dalle cantine e dalle fogne, in notti come queste escono i topi a rovistare nelle immondizie e adesso i piccoli occhi di uno di loro mi stanno fissando da sotto un cassonetto.
Immobile, i muscoli tesi, il mio sguardo che incrocia il suo e lo ipnotizza…
“Sei morto, sei finito piccolo essere schifoso…” voglio godere ancora del brivido che mi dà l’attesa e poi il balzo finale.
( La strada deserta
Dal buio coperta
Nel nulla io scatto
Lo scatto di un matto )
La nebbia sta depositando gocce di vapore sul mio pelo, fa freddo ma mi sento meglio, tornano i pensieri normali…niente rime…solo parole slegate…niente rime…che sia la fine di questo assillo? Sono piena d’energia, sono carica del sapore della conquista, della soddisfazione del predatore che ha catturato la sua preda, come tutte le notti.
Pochi passi e sono in Borgo Felino: in questo vicolo annuso le tracce d'altri passaggi, segno il territorio per tenere lontano i nemici sempre più numerosi e sinuosamente mi avvicino a casa mia.
Passi nel buio che risuonano nel silenzio del vicolo, incrocio la Berta, una vecchia senzatetto in cerca del suo angolo di strada per la notte; ha le calze rotte e un tacco che sta per staccarsi dalla scarpa.
“Fuori anche stanotte? Ma perché non ci facciamo compagnia qualche volta? Non ti mangio mica se ti fermi un po’ con me, sai?”
Ignoro la sua invocazione piagnucolosa e le passo di fianco, fiutando la scia di sudore e urina rancida che lascia al suo passaggio. Poco più in là mi fermo e mi volto per guardarla: mi fa così pena che per un istante penso di regalare a lei il trofeo di stanotte ma non posso, è per il Poeta, che mi aspetta a casa, insonne, coi capelli grigi lunghi e scompigliati dalla follia, con la camicia strappata e sporca, con le ciabatte vecchie e scalcagnate…il mio Poeta…dal quale fuggo per poi tornare sempre.
Entro dalla finestra del piano terra, abbandono il topo morto sul tappeto e mi sdraio vicino al caminetto acceso aspettando che il fuoco mi scaldi le ossa.
“Perché? Perché ti comporti così? Cosa posso fare con te per convincerti che non sei un gatto? La tua è pura follia…tu sei la mia compagna, stai con me da anni, dormi, mangi, condividi con me gioie e dolori…e tu fai queste cose schifose, esci la notte, uccidi topi, rientri sporca e distrutta” il Poeta con rabbia raccoglie il trofeo e lo getta dalla finestra.
Mentre lui davanti allo specchio recita la sua ennesima farsa e piange, grottesca maschera di disperazione, fisso la fiamma nel camino e intanto mi pulisco con cura le zampe e il pelo ancora umido e aspetto che arrivi un nuovo giorno. Sta sorgendo il sole e i suoi primi raggi mi trovano raggomitolata sul tappeto mentre fingo di dormire per non sentire la voce del Poeta che recita, quasi urlando, una sua vecchia ode. Anche questa nottata è trascorsa insonne per entrambi, altra notte di equivoci.
Bussano alla porta e io scatto in piedi, tutti i sensi vigili…so già chi c’è là fuori.
“La vuole smettere di urlare una buona volta? Non è possibile che tutte le notti faccia questo baccano! Qui c’e’ gente che al mattino deve andare al lavoro, brutto vagabondo, fannullone buono a nulla…io la denuncio, la faccio sfrattare…accidenti a lei e a quella maledetta bestiaccia della sua gatta, che mi riempie il cortile di topi! Maledetti tutti e due…” un ultimo colpo alla porta e poi i passi si allontanano.
“Mi fermo e poi scatto…lo sguardo di un gatto…” sussurro sorniona all’orecchio del Poeta mentre gli passo accanto e, silenziosamente e lentamente, vado a rannicchiarmi in quelle morbide coperte che mi avvolgeranno per buona parte della giornata, perché io vivo di notte.
Racconto pubblicato on-line su "Viadellebelledonne"

(Sara Ferraglia )