lunedì 16 maggio 2011

Le mamme possibili


Il nostro codice segreto ( breve dialogo fra madre e figlio appena nato )

( “ Chi parla così forte? Che rumore! Io stavo meglio là dentro, aiuto che succede?”)


Ti ho toccata, accarezzata, fiutata e  ci siamo scambiate il nostro indelebile codice segreto e tu, piccolo corpo ancora chiuso al mondo esterno, hai a disposizione solo questo per comunicare con me, per sentire che le nostre carni si sono staccate  ma ci apparteniamo ancora.

(“ Non posso parlare, non sono capace… ma so chi sei.  Però adesso ho fame…Non m’importa di nient’altro al mondo, solo della mia fame.”)

La tua manina rosa e un po’ rugosa si aggrappa al mio seno, lo stringe e la tua bocca non smette di cercare e di succhiare e alla fine si stacca: la tua espressione ora è di pace e sazietà mentre ti addormenti fra le mie braccia. Lentamente mi alzo e ti poso nella culla.

( “ Eh no! Così non mi piace mica tanto! C’era più caldo prima e poi mi piaceva come mi facevi dondolare…dai, prendimi ancora in braccio altrimenti piango…Ok…allora piango!”)

Dobbiamo imparare a vivere staccate, piccolina mia, dobbiamo imparare che ora abbiamo due vite, capisci? La risposta è nel tuo pianto, che, da intermittente mugugno, diventa assordante grido di rabbia, che rende paonazzo il tuo viso.
E va bene…ancora un attimo di coccole, vieni…
“Dondola, dondola e il vento la spinge, cattura le stelle per  i suoi desideri…” canto piano piano e tu ti calmi.

( “ C’è tempo mamma per imparare a staccarci! Adesso stiamo così che ci sto meglio!”)

Passeranno troppo in fretta questi giorni… e i mesi… e gli anni… e non torneranno più ma non perderemo mai il nostro codice segreto.

Sara Ferraglia


Per approfondimenti qui
e qui


domenica 3 aprile 2011

Il viaggio sulle onde


Il viaggio sulle onde

Il mare di Trieste per molti anni le sussurrò la buona notte ogni notte.
Laggiù, più a sud era lo stesso caro mare eppure sembrava parlare una lingua diversa o forse era lei
che stava diventando sorda.
Era dunque lo stesso mare che quella notte la sfiorò nel sonno, l’accarezzò e la invitò :
- Maria… Maria… andiamo, ormai è l’ora –.
Maria, che si era fatta piccola e gracile per l’età avanzata, Maria coi capelli bianco argento e gli occhi chiari e vispi come quelli di una ragazza, si sedette sul letto.
- Eccomi, sono pronta-.
La presero sottobraccio, una per parte, due onde gagliarde e gelide giunte apposta per lei dal mare di Trieste. Sorrise ad entrambe  e mentre si sollevavano leggere iniziò a raccontar loro tutta la sua vita, dei suoi viaggi, dei suoi amori, dei suoi dolori, dei suoi figli, nipoti e pronipoti.
- L’ultima nata si chiama Claudia, è la figlia di mio nipote Nicola , vedeste come è piccola e che sorriso dolce … peccato che l’ho vista  così poco! L’ho tenuta in braccio solo una volta …-
Sorrise ammiccando sorniona e le onde capirono che una piccola deviazione era  ancora possibile.
Salivano intanto verso nord, lungo la riviera romagnola silenziosa e addormentata in quel periodo di bassa stagione.
- Guardate laggiù…il Castello di Gradara ! Ecco, dimenticavo di dirvi che lì si è sposato mio nipote, lo scorso anno in maggio e io c’ero. Ho fatto fatica perché ero  già molto stanca ma ero felice per lui e ho voluto essere presente.-
Mandò un bacio con la mano verso le mura medioevali che nel buio si scorgevano appena.
- Reggiti forte Maria, acceleriamo un po’ che il viaggio è ancora lungo – e le onde triestine salirono più su nel cielo stellato, stringendo la nonna in un abbraccio robusto ma nello stesso tempo delicato.
Maria si godette lo spettacolo unico e raro delle costellazioni che sembravano salutare il suo passaggio con scintillii e bagliori più luminosi; esattamente sotto la costellazione della Bilancia  si stendeva quella parte di Pianura Padana dove ormai sapeva che avrebbero fatto tappa.
Si abbassarono fino a lambire i fasci di luce provenienti dai fari delle auto in corsa lungo l’autostrada, fino ad immergersi in una coltre di nebbia fitta che galleggiava sulla campagna quasi rasoterra, come un mare grigio e morbido. Stava albeggiando e l’orizzonte già appariva rischiarato dal sole che stava per spuntare.
La piccola casa color ruggine  dormiva ancora, gli scuri tutti serrati.
- Vai nonna Maria – dissero le nuvole  posandola delicatamente sull’erba del giardino bagnata di rugiada – noi ti aspettiamo qui.
Maria entrò : muri, porte e finestre ormai non le opponevano alcuna resistenza.
Salì al primo piano dal quale proveniva il suono di tre respiri diversi. Entrando nella grande camera  si avvicinò  al letto, accarezzò lievemente suo nipote e la giovane moglie e si avvicinò alla piccola culla tutta bianca ai piedi del  letto.
Quando le fu sopra fu grande la sorpresa : un piccolo gorgoglìo nel buio e il movimento frenetico di due manine che si aprivano e subito dopo si richiudevano a pugno come per dirle ciao furono il preludio al sorriso più dolce del  mondo.
- Ciao piccola creatura, nonna Maria è venuta a salutarti. Un bacio e … buona fortuna!- e in un attimo Maria si ritrovò rannicchiata di nuovo nell’abbraccio delle onde e ripartì per il suo ultimo viaggio.
Erano le cinque del mattino.

lunedì 31 gennaio 2011

Non si maltrattano così le signore

Ripropongo oggi un racconto che scrissi anni fa e che, nel frattempo, è comparso


su  : Viadellebelledonne


su  : Blogolonelbuio



( Donna allo specchio - Picasso )


Non si maltrattano così le signore.



Mi sono accomodata sulla poltrona del parrucchiere. Poca gente, musica new-age e volume un po’ troppo alto.

“ Arrivo subito da te “ Luca, uno dei ragazzi che lavora lì, rigorosamente vestito tutto di nero, si affaccia dall’altra stanza per poi sparire di nuovo.

Rimango sola davanti ad uno specchio immenso e crudele.

Molti anni fa mi piaceva guardarmi, sciogliere i miei capelli neri, lunghi e lisci nell’attesa che arrivasse chi doveva prendersi cura di loro e poi spostarli tutti sulla spalla reclinando il capo, con un gesto lento, studiato, lezioso e guardarmi nello specchio, fissarmi negli occhi scuri, grandi e accesi. Accadeva molti anni fa. Ora lo specchio è crudele perché non mi concede nulla. Non ho più capelli neri da sciogliere, perché da qualche tempo li porto corti, con la scusa che meglio si adattano alla mia personalità; in realtà lo faccio perché sono pratici, li posso lavare ogni mattina sotto la doccia e con le sole mani in pochi minuti li posso acconciare. E poi il capello lungo ad una certa età fa “dietro trofeo, davanti museo”. E poi il capello lungo ha bisogno di cura e attenzioni che solo un parrucchiere può dare, altrimenti si spezzano, si formano le doppie punte…E poi, e poi, accidenti, chi se ne frega del perché ho i capelli corti! Sono tutte elucubrazioni mentali che vogliono solo esorcizzare il tempo e la paura di vedere riflesse in questo specchio le tracce che questo mostro ha lasciato sul viso, sul collo, sui capelli.

“ Eccomi. Ciao, come stai?” dice Luca che con un balzo è tornato dietro le mie spalle.

In realtà non gliene frega niente di come sto io e quindi freddamente rispondo:

“Ciao a te, cosa facciamo coi miei capelli?”

“Dimmi tu, cosa vuoi?”

Un’altra cosa che da un pò di anni faccio fatica ad accettare (credo più o meno da cinque anni o giù di lì ) è questa facilità che hanno i giovani di darti del tu. Una mia amica dice che a lei piace perché la fa sentire a suo agio, invece a me fa sentire fuori posto.

Mi tocco i capelli, li giro e li rigiro fra le dita e poi decido:

“Taglia. Un bel corto tutto sfilatino.”

Luca canticchia e prende da un cassetto una mantella nera così non mi si appiccicheranno tutti i capelli sui vestiti.

Sbandierando come un toreador mi avvolge in quella nuvola sintetica e chiude il tutto stringendo il laccetto di velcron sulla mia nuca.

A quel punto il mio collo subisce una rapida trasformazione e la pelle si raggrinza, si affloscia, si piega e io mi sento un visitor, un E-t appena sbarcato su madre terra!

“Scusami, ho forse stretto troppo?”

“ Un pochino!” gli rispondo col volto paonazzo.

Luca allenta il laccetto e il mio collo si distende di nuovo e torna alla normalità come pure il mio colorito e il ragazzo, sempre canticchiando inizia a tagliuzzare qui e là sulla mia testa.

Continuo a guardarmi nello specchio, che mi sembra sempre più grande e sono rigida come un baccalà, con tutti i muscoli del mio corpo in massima tensione.

Una volta, credo circa dieci anni fa o giù di lì, (incredibile come, ultimamente, mi venga naturale e urgente quantificare il tempo) mi capitava raramente di non sentirmi a mio agio in qualsiasi situazione mi trovassi mentre ora, ogni tanto, divento Dottor Jackil o Mr.Hide e subisco queste strane metamorfosi.

La porta a vetri del negozio si apre e insieme ad una folata di gelo entra qualcuno.

“Ciao caro, come stai? Hai tempo per me che ho un po’ fretta? Come mi trovi? “ la voce un po’svenevole precede di qualche istante l’immagine di una stupenda ragazza che ora si riflette nello specchio divenuto, per l’occasione, improvvisamente benevolo.

Mi chiedo come farà Luca a rispondere contemporaneamente a tre domande precise e a mettersi subito a sua disposizione poiché sta lavorando sulla mia testa.

Lui prima con quella strizzatine di velcron ha messo a disagio me e quindi ora aspetto di vedere il suo imbarazzo nel dovermi mollare su due piedi! Eh sì ragazzino, qui ti voglio!

“ Ciao bellissima, bene grazie e tu? Ma certo, sarò da te fra pochi minuti e ti trovo splendidamente in forma “ si gira verso la scala e chiama Anna, pregandola di venire subito a sostituirlo.

Mi sorride, si allontana camminando a ritroso e intanto mi dice:

“Scusa sai. Io qui ho finito e ti asciugherà Anna. Non ti dispiace vero? Grazie.”

Ecco come ha fatto. E se l’è cavata anche bene. Sarà grazie all’esperienza o sarà per quella massa di riccioli rossi e quella fila di denti bianchissimi che gli stanno davanti?

Non ho nemmeno il tempo di rispondere che lui è già sparito nella stanza accanto seguito da una fresca e svolazzante scia di profumo.

Torno a girarmi verso lo specchio, sempre più rigida, sempre più baccalà e intanto alle mie spalle arriva Anna, che, un po’ infastidita mi saluta con un secco “buongiorno” e una veloce strizzatina di velcron, così mi trasformo di nuovo, prima in E-T e subito dopo in Mr.Hide.

Sento il mio volto farsi di nuovo paonazzo e i battiti cardiaci accelerare come impazziti.

“ Senti ragazzina, allenta subito questo laccio che mi stai strangolando “- le dico con una voce quasi gutturale, che suona nuova anche alle mie orecchie – e poi corri di là e dì a Luca che gli devo parlare immediatamente, capito? Vai!!!”

Mi strappo via il mantello da toreador, mi alzo in piedi di scatto pregustandomi il momento di gloria che avrò quando mi troverò davanti quello stronzetto di Luca…Gliele canterò in rima, gli dirò quanto è stato maleducato e che non mi vedrà più nel suo negozio e gli dirò anche che mi dava tremendamente fastidio quando si rivolgeva a me con quel “tu” troppo facile e gli dirò che non è mai stato capace di mettermi a modo la mantellina sulle spalle! Oh, ma quante gliene dirò!

Luca arriva e io troneggio su di lui come una regina disadorna (citazione da uno dei miei autori preferiti) mani sui fianchi da brava “rezdora”, capelli dall’acconciatura spaziale e fumo che mi esce dalle narici come ai tori nell’arena.

“Dimmi, che problema hai?”

Mi da del tu e mi fa anche una domanda precisa: che problema ho.

Che problema ho?

Ne ho mille di problemi e non uno. Il più grosso è che ad una domanda precisa in una situazione di disagio, non mi viene mai la risposta che vorrei.

Qualche secondo di silenzio e poi…le braccia mi scivolano lungo i fianchi, i capelli mi si afflosciano e la mia statura immensa torna nella norma.

Con una vocina flebile e tremula che non mi appartiene per nulla, esattamente come non mi apparteneva quella roca di prima, dico :

“ Non si maltrattano così le signore” … divento rossa come un papavero e penso…meno male che leggo molto e vedo molti film, così qualche volta mi vengono le risposte giuste al momento giusto!



Titolo Film

NON SI MALTRATTANO COSI' LE SIGNORE

Anno

1968

Titolo originale

NO WAY TO TREAT A LADY

Durata

107

Vietato

14

Origine

USA

Colore

C

Genere

DRAMMATICO

Formato

TECHNICOLOR

Tratto da

ROMANZO DI WILLIAM GOLDMAN




(Sara Ferraglia)

martedì 30 marzo 2010

La bugia più grossa


C'era una volta un lontano paese,

il più sperduto di tutto il pianeta

che organizzava alla fine del mese

una tenzone alquanto inconsueta.


Ed arrivavano da tutto il mondo

sulle ali aperte della fantasia

per poi combattere fino in fondo

a chi diceva più grossa bugia.


"Sono Mohamed e sono africano

Fin qui arrivato su lussuosa nave

Laggiù la fame è un ricordo lontano

È l'abbondanza il problema più grave."


Ed applaudiva quella folla immensa

Baci ed abbracci e grida della gente

E la tensione si faceva densa

all'apparir di un altro concorrente


"Io son Saeb e son palestinese

Vi porto i frutti di un'antica terra

Ormai regna la pace al mio paese

Nessu bambino sa cos'è la guerra."


E si guardavan tutti con stupore

per l'alta qualità degli sfidanti

Sceglierne uno e farlo vincitore

Compito ingrato per i giudicanti.


All'improvviso in mezzo a quel frastuono

vestita solo con una bandiera

accompagnata da un tribale suono

venne una donna dalla voce fiera.


"Io non ho nome né cittadinanza

mi chiaman pace o democrazia

mi chiamano giustizia oppur speranza

ma chi mi uccide è spesso la bugia.”


Cadde il silenzio nell'antica piazza

Svanì il sorriso da quei mille occhi

appartenenti a gente di ogni razza

e furon molti a sentirsi sciocchi.


C'era una volta un paese lontano

E c'era il festival della bugia

Non mi credete? Vi sembra strano?

C'era davvero. Parola mia.


Menzione speciale al premio

Ruba un raggio di sole per l'inverno – 2005

Città di Castello ( PG)

venerdì 19 marzo 2010

Pubblicazione

Da oggi è on-line , su ARTEMISIA il mio racconto "Lo scatto di un gatto".


giovedì 26 novembre 2009

Inferno o Paradiso ?


Inferno o paradiso?

“Prego…avanti un altro…”- ed ora tocca all’Albina, che è la prima di una lunga fila.

Avanza di due passi e varca la soglia.

Il ragazzo che ha parlato è bello e sorride proprio come quel ballerino che c’è sempre in televisione dalla De Filippi.

“ Prego, s’accomodi “- indica una poltroncina di pelle rosso fuoco.

“ Allora …signora…”

“ Pasoni Albina detta Bina “- risponde lei, sistemandosi come sull’attenti pur stando seduta: busto eretto, ginocchia unite e mani sudate, che tormentano una borsetta di finta pelle spelacchiata.

“ Signora Albina immagino che lei, come tutti gli altri, sia qui per entrare a far parte del nostro staff”- sorride ancora.

“ Mi scusi, staff, cosa vuol dire? E’ una parola a metà? ”

Il ragazzo batte le mani sulla scrivania ed esplode in un’improvvisa risata, eccessiva e sguaiata.

“ Staff, collaboratori, in questo caso intendo anche comunità o gruppo”.

“ Ah ben…se intende questo, allora sì, io sono venuta qui con quell’intenzione” e annuisce vistosamente.

“Bene, ho letto il suo curriculum vitae e devo ammettere che è il più strano che mi sia mai capitato ma forse si tratta solo di chiarire alcune cose, ora che siamo a tu per tu” - si sporge leggermente verso di lei.

Lei, come ipnotizzata gli si avvicina e sussurra:

“ Il curriculo…quello che ha detto prima, non l’ho mica fatto tutto da sola! Mi ha aiutato Don Mario a metter giù tutte quelle risposte! Lo conosce Don Mario?”- sul suo volto si dipinge un sorriso di speranza.

Il ragazzo fa una smorfia di raccapriccio e lei pensa : “Perché fa quella faccia? Non gli ho mica nominato Tognòn, che puzza sempre come un letamaio; io però ogni tanto lo faccio venire in casa, lavo tutti i suoi stracci, gli faccio fare il bagno e gli preparo un bel pranzetto, poverino! “ – la donna ha lo sguardo perso nel vuoto, a rincorrere i suoi pensieri...

Lui batte un colpo sulla scrivania e si schiarisce la voce: “Andiamo avanti: lei scrive che è nata in campagna da genitori contadini, bravissime persone, caritatevoli e generose, i quali hanno fatto tanti sacrifici per mandarla a scuola dove lei ha imparato soltanto a leggere e a scrivere, perché poi è scoppiata la guerra, quindi il suo grado d’istruzione è …”

“ Prima elementare, poi hanno bombardato la scuola”.

“ La prego, non m’interrompa, lasci parlare me, dobbiamo chiarire molte cose e, come vede, fuori la fila è lunga” – la rimprovera il ragazzo mentre i suoi occhi hanno un barlume d’improvvisa cattiveria.

“Dicevamo che lei subito dopo la guerra, ha fatto diversi mestieri, apprendista sarta, donna di servizio presso un’agiata famiglia del posto e tutte le sue referenze sono davvero ottime; lei è sempre stata una donnina rispettosa, umile, onesta, per cui non riesco proprio a capire”.

“ Referenze? Quella cosa che vuol dire che tutti hanno parlato bene di me? “

Lui sospira…la compatisce.

“ Passiamo al suo stato civile: lei è nubile, come mai?”

Lo guarda terrorizzata:

“ Io nobile? Nooo…si sbaglia davvero! Io sono povera, sono una degli ultimi, di quelli che poi saranno i primi nel regno di là, capisce? ” - la prende un tremore incontrollabile per l’improvvisa paura che Don Mario abbia sbagliato a rispondere a qualche domanda.

“ Nubile, non nobile. Significa che non si è mai sposata !” - e adesso il signorino sta urlando come se parlasse con una sorda e lei vorrebbe diventare piccola come una cimice su quella poltrona rossa e scivolare via, lontano da quel luogo.

“ Perché non si è mai sposata, Albina?” e si sporge verso di lei, perché quasi non riesce più a vederla, tanto è scivolata giù sulla poltrona. Lei, per educazione si tira su, si rimette un po’ a posto, si liscia la sottana, gambe belle strette, ginocchia unite e mani sui braccioli.

“ Oh ben…ecco…insomma…non che non fossi una bella ragazza, solo che mia mamma mi ha sempre detto che se un uomo mi viene vicino poi vuole fare le porcherie con me e magari dopo io rimango incinta e lui scappa e mi lascia lì con un bastardo da allevare. Anche Don Mario me lo diceva quando andavo a confessarmi che delle volte mi venivano certi pensieri e diventavo tutta rossa! Mi diceva di non “formicare” mai e mi spiegava che non voleva dire di non schiacciare le formiche…ma di non toccare gli uomini e io gli ho sempre dato ascolto. Ecco perché sono… nubile.” Pronuncia quella parola con orgoglio.

“ Infatti, altra cosa che non ho capito molto bene” - il ragazzo tamburella con le dita sulla scrivania.

“ E poi leggo che ha passato tutta la sua vita curando suo padre, alcolizzato, e sua madre invalida per una brutta randellata presa dal marito ubriaco e che la sua unica sorella, Pina, l’ha fatta interdire e si è presa tutto il podere e i beni di famiglia. E’ vero?”

“ Dunque: mio padre, poverino non era mica alcolizzato. Era solo uno che gli piaceva bere del vino buono e diceva sempre che doveva ancora trovare la misura giusta per fermarsi in tempo prima di farsi portare a casa da qualcuno. Se il suo fegato non si spappolava sono sicura che la trovava questa misura, perché lui si impegnava davvero tanto. Mia madre non è mica rimasta sulla sedia a rotelle per colpa del papà: quella sera lui non aveva trovato la misura giusta e nell’aggrapparsi a lei l’ha fatta cadere dalla scala, poverina. E poi…mia sorella cosa mi ha fatto…?” - non ricorda più quella parola mai sentita prima.

“ Interdire, Albina! Vuol dire che ha dichiarato che lei è pazza, che non può rispondere delle sue azioni e che non è in grado di amministrare i beni e le terre dei suoi genitori” - risponde il ragazzo sbuffando e allentandosi il nodo della cravatta, come uno che ha troppo caldo o che sta perdendo la pazienza.

“ Interdire! La verità è che mia sorella ha più bisogno di me di tutta quella roba, perché è sposata con un buon uomo e ha due figli che studiano. Io cosa me ne faccio della terra e dei soldi? Lo ha detto anche Don Mario che è meglio essere poveri, sempre per via che dopo diventa più facile entrare là…”

“Appunto Albina, questo è il problema: lei è una donna umile, devota e gentile non solo nei confronti della sua famiglia, ma dell’intero genere umano. Lei non hai mai commesso peccati gravi, non hai mai rubato, mentito, fornicato, ogni giorno si è recata in chiesa, ha osservato i comandamenti e ha pregato sempre col cuore. Tutto torna alla perfezione con quanto lei , o chi per lei, ha scritto sul suo curriculum vitae”.

“ Davvero? Sono proprio contenta, perché io ho fatto tutto il possibile per comportarmi bene!”. Sfoglia il suo curriculum e le mostra la pagina quattro. Sembra perplesso:

“C’è un grosso equivoco: qui in fondo alla pagina ci sono due caselle. Chi vuole entrare a far parte del settore A deve porre una croce sulla casella A e chi invece vuole entrare nel settore B deve mettere la croce sul B. Lei questa croce dove la vede?”

“ La croce mi sa che è sul B…sì sul B”.

“ Infatti: B, settore B, quello di Belzebù in persona…il mio!”

Le si accappona la pelle, sente la gola secca e urla:

“ Diavolo! “- e mai nessuna esclamazione è stata più azzeccata di questa.

“ Senta, io non capisco come abbia potuto compiere un errore così grossolano. Il modulo è molto chiaro e se giriamo pagina, qui in fondo, c’è’ tutta la spiegazione molto dettagliata dei due settori; non è possibile sbagliare!”

L’Albina abbassa tristemente lo sguardo e, tormentandosi le mani, risponde con un fil di voce:

“ Ecco, in effetti Don Mario aveva messo la croce sulla casella A ma poi, quando sono arrivata a casa, la notte, non riuscivo a dormire per il pensiero. A come Albina, forse qualcuno avrebbe pensato che non ero umile se usavo l’iniziale del mio nome; A la prima lettera dell’alfabeto, meglio non essere i primi, pensavo quella notte, sa, sempre per via di quel posto, di quel regno…e allora mi sono alzata dal letto, ho acceso la luce e ho tirato fuori il foglio dal cassetto. Con la gomma ho cancellato per benino la croce sulla A e l’ho messa sulla B e sono tornata a letto più leggera e più soddisfatta” .

“Ora, Albina, è tutto molto chiaro. Lei non è la persona adatta a noi. Lei non può entrare qui” – il ragazzo raccoglie alcuni fogli sparsi sulla scrivania, corregge l’errore sul primo dei fogli e li mette ordinatamente in una carpetta rossa poi si alza in piedi :

“ Ecco, prenda la sua roba, esca da quella porta e giri nel corridoio di sinistra. Sul muro vedrà l’indicazione SETTORE A , quello degli Angeli. Segua la freccia e si metta in fila davanti alla porta che troverà laggiù in fondo. Vedrà, la fila sarà sicuramente meno lunga, addirittura forse lei sarà l’unica. Vada Albina” - e il ragazzo le allunga la mano per salutarla.

Si alza, si liscia la veste stropicciata, sistema il colletto della camicetta, s’infila la borsetta nel braccio, s’asciuga la mano sudata nel vestito prima di allungarla al ragazzo .

“ Allora la saluto, la ringrazio tanto per la sua gentilezza . Pensi che al mio paese dicono Maledèt al diavel…mica vero! Io non la maledico per niente, anzi lei mi piace proprio tanto!” e gli stringe la mano più forte che può.

Il ragazzo la ritira con grande imbarazzo e la spinge verso la porta :

“ Vada Albina, vada via in fretta”.

Col suo passo lento e barcollante s’avvia verso l’uscita di quel corridoio e vede che la fila intanto si è quasi raddoppiata…quanta gente! Giovani, vecchi, donne, preti, suore, un famoso uomo politico, una faccia della televisione,un Presidente…mamma mia! Quasi quasi un pochino le dispiace lasciare quel posto con tanta bella gente!

“Albina! “ – il bel Belzebù la chiama. Che abbia avuto un ripensamento?

Si gira e lo vede che le viene incontro:

“ Tenga…ha dimenticato questo – e le porge i suoi fogli- lo presenti di là, nel settore A, vedrà che le andrà meglio!”.

La Bina prende il suo “curriculo” e torna sui suoi passi un po’ perplessa : “ Avrò fatto la scelta giusta?”

giovedì 21 maggio 2009

Lo scatto di un gatto



Lo scatto di un gatto.
Condivido, ormai da molti anni, cinquanta metri quadrati con il Poeta, che declama i suoi versi ad alta voce di giorno, di notte e in ogni stagione dell’anno, fino allo sfinimento. Col tempo, anche per me, la rima è diventata prima un’ossessione, poi una naturale forma mentis: penso solo a frasi brevi e, di solito, in rima.
( Mi fermo e poi scatto
Lo sguardo di un gatto
Dal vetro appannato
Di quel caseggiato )
Non ricordo nemmeno quando è cominciato. Ci fu un momento in cui decisi che preferivo uscire la notte, per non sentire più la sua voce e da allora fu così.
“Ma come? Esci con una sera da lupi come questa? C’è una nebbia che si taglia col coltello.”
( Mi fermo e poi scatto
E sempre quel gatto
Si struscia sul muro
Là dov’è più scuro )
Mi struscio languidamente conto lo stipite della porta e con lentezza scivolo fuori, nel buio
“Aspetta...vieni dentro…oh anima ingrata non m’abbandonare!…” il tragico lamento del Poeta mi annebbia la mente...un ultimo sguardo alle mie spalle e poi la rapida e silenziosa fuga.
( La voce attutita
Nel silenzio invita
Qualcun a tornare
E il gatto scompare )
Una notte che mi trovai a passare da Borgo Onorato cominciai anche a camminare in modo diverso, a scatti, brevi corse seguite da altrettanto brevi pause contro il muro e nei portoni bui e da allora cammino così, furtivamente. Se poi la nebbia cala sulla città, l’atmosfera è ideale per sciogliere le briglie della mia dimensione animale.
( La nebbia m’avvolge
E tutto stravolge
In fondo alla via
Qualcuno mi spia )
Dalle cantine e dalle fogne, in notti come queste escono i topi a rovistare nelle immondizie e adesso i piccoli occhi di uno di loro mi stanno fissando da sotto un cassonetto.
Immobile, i muscoli tesi, il mio sguardo che incrocia il suo e lo ipnotizza…
“Sei morto, sei finito piccolo essere schifoso…” voglio godere ancora del brivido che mi dà l’attesa e poi il balzo finale.
( La strada deserta
Dal buio coperta
Nel nulla io scatto
Lo scatto di un matto )
La nebbia sta depositando gocce di vapore sul mio pelo, fa freddo ma mi sento meglio, tornano i pensieri normali…niente rime…solo parole slegate…niente rime…che sia la fine di questo assillo? Sono piena d’energia, sono carica del sapore della conquista, della soddisfazione del predatore che ha catturato la sua preda, come tutte le notti.
Pochi passi e sono in Borgo Felino: in questo vicolo annuso le tracce d'altri passaggi, segno il territorio per tenere lontano i nemici sempre più numerosi e sinuosamente mi avvicino a casa mia.
Passi nel buio che risuonano nel silenzio del vicolo, incrocio la Berta, una vecchia senzatetto in cerca del suo angolo di strada per la notte; ha le calze rotte e un tacco che sta per staccarsi dalla scarpa.
“Fuori anche stanotte? Ma perché non ci facciamo compagnia qualche volta? Non ti mangio mica se ti fermi un po’ con me, sai?”
Ignoro la sua invocazione piagnucolosa e le passo di fianco, fiutando la scia di sudore e urina rancida che lascia al suo passaggio. Poco più in là mi fermo e mi volto per guardarla: mi fa così pena che per un istante penso di regalare a lei il trofeo di stanotte ma non posso, è per il Poeta, che mi aspetta a casa, insonne, coi capelli grigi lunghi e scompigliati dalla follia, con la camicia strappata e sporca, con le ciabatte vecchie e scalcagnate…il mio Poeta…dal quale fuggo per poi tornare sempre.
Entro dalla finestra del piano terra, abbandono il topo morto sul tappeto e mi sdraio vicino al caminetto acceso aspettando che il fuoco mi scaldi le ossa.
“Perché? Perché ti comporti così? Cosa posso fare con te per convincerti che non sei un gatto? La tua è pura follia…tu sei la mia compagna, stai con me da anni, dormi, mangi, condividi con me gioie e dolori…e tu fai queste cose schifose, esci la notte, uccidi topi, rientri sporca e distrutta” il Poeta con rabbia raccoglie il trofeo e lo getta dalla finestra.
Mentre lui davanti allo specchio recita la sua ennesima farsa e piange, grottesca maschera di disperazione, fisso la fiamma nel camino e intanto mi pulisco con cura le zampe e il pelo ancora umido e aspetto che arrivi un nuovo giorno. Sta sorgendo il sole e i suoi primi raggi mi trovano raggomitolata sul tappeto mentre fingo di dormire per non sentire la voce del Poeta che recita, quasi urlando, una sua vecchia ode. Anche questa nottata è trascorsa insonne per entrambi, altra notte di equivoci.
Bussano alla porta e io scatto in piedi, tutti i sensi vigili…so già chi c’è là fuori.
“La vuole smettere di urlare una buona volta? Non è possibile che tutte le notti faccia questo baccano! Qui c’e’ gente che al mattino deve andare al lavoro, brutto vagabondo, fannullone buono a nulla…io la denuncio, la faccio sfrattare…accidenti a lei e a quella maledetta bestiaccia della sua gatta, che mi riempie il cortile di topi! Maledetti tutti e due…” un ultimo colpo alla porta e poi i passi si allontanano.
“Mi fermo e poi scatto…lo sguardo di un gatto…” sussurro sorniona all’orecchio del Poeta mentre gli passo accanto e, silenziosamente e lentamente, vado a rannicchiarmi in quelle morbide coperte che mi avvolgeranno per buona parte della giornata, perché io vivo di notte.
Racconto pubblicato on-line su "Viadellebelledonne"

(Sara Ferraglia )