martedì 29 gennaio 2008

Voce dell'est.



Voce dell’est.

Ogni mattina mi alzo, vado in stazione a Parma e prendo il treno dei pendolari, che mi porta abbastanza velocemente a Bologna: lavoro otto ore e poi torno a casa : tutti i giorni, tutto uguale senza infamia e senza lode.
Di bello in questa monotonia quotidiana c’è che mi viene spesso la voglia di scrivere, che non è una vera vocazione ma è qualcosa che un pò le assomiglia, perché ti prende così forte che certe volte vorresti scriverti sulla mano per non dimenticare il concetto.
Mi prende anche sul treno, magari solo guardando una faccia o ascoltando i discorsi della gente.
Salgo e cerco sempre di sedermi sul primo sedile a destra perché sono un’abitudinaria.
Sulla sinistra vedo che si stanno sistemando altre persone, salite insieme a me; le vedo solo con la coda dell’occhio.
Suona un cellulare : la stangata, quel vecchio film con Paul Newman.
“ Sì ciao, come tu sta? ” – voce di donna dolcissima, dall’inconfondibile accento dell’est.
Sui cellulari si può dir tutto di buono, tranne che rispettino la riservatezza; squillano a tutte l’ore e quando rispondi ti urlano nell’orecchio, come stava facendo adesso quella voce maschile. I cellulari ti trovano, sempre:
“ No, tu non ti preoccupa…no oggi no, io devo aggiustarmi la schiena, mi fa male…domani? Sì domani…Domani io viene da te…”
“ Dispiace a me …ti prego tu pazienza…oggi non posso…che problema ha tu? Domani…si domani io viene… ”
Mi volto verso quella voce così dolce e musicale. Ora tace. È una ragazza bionda, carina, dall’aspetto trascurato : i suoi abiti, per taglio e fattezza, non li indosserebbe nemmeno mia nonna.
Ha una codina tenuta ferma da un piccolo elastico di gomma, due spilline di alluminio ai lati, una maglietta coi brillantini e un paio di jeans scoloriti.
Due donne in piedi lì vicino conversavano prima che la ragazza parlasse poi zitte, immobili, facendo le indifferenti, hanno ascoltato tutto ed ora si lanciano sguardi complici e maliziosi e una dà una gomitata all’altra ammiccando verso la biondina.
Parma è una piccola, luccicante e borghese città di provincia dove conta apparire più che essere. Basta osservare queste due “signore” e ascoltare i loro discorsi per capire il concetto :
“ Io ti consiglio di andare alla lavanderia Profumo di via Farini…è un pò cara ma ti garantisco che lì sono molto bravi. D’altronde quando porti a lavare i cappotti chiari in cachemire e i pull un pò…come dire…importanti, sai, devi essere sicuro del risultato…” – questa donna tutta griffata dai capelli alle unghie dei piedi parla come se cercasse di muovere il meno possibile le labbra e i muscoli facciali. Ne risulta un’espressione innaturale, glaciale e antipatica.
“ Sì, seguirò il tuo consiglio, d’altra parte sai, anch’io in genere indosso capi belli in seta, lana fine…e quando la lavanderia te li rovina sono sempre grane e poi ti dispiace…” - risponde l’altra meno griffata ma dalla voce ancora più antipatica perché si sforza di produrre una “ r “alla francese che proprio non le appartiene!
Parlavano così le due signore, parlavano di vacanze, di abiti, di firme e si sono zittite quando la dolce voce dell’est ha risposto al cellulare.
E sottovoce la signora mummificata dice a quella con la “r” forzata:
“ Che pena! C’è pieno! Parma qualche anno fa non era così. Adesso sono arrivate anche queste dell’est che se fanno le badanti va anche bene ma sai com’è…spesso stanno sulla strada..” e guarda verso la dolce voce dell’est.
E l’altra :
“ Cara, d’altronde dove c’è la miseria! Sai, ieri un cliente di mio marito è andato in studio perché vuole aprire un bar in Romania e quelli gli stanno creando noie, tanto che è dovuto ricorrere all’avvocato. Ma perché aprire un bar? Non hanno soldi poveracci e quindi non possono nemmeno entrare nei bar.”
E la mummia sempre più rigida, spostandosi lentamente una ciocca di capelli dalla fronte:
“ Ma certo…meglio sarebbe un negozio di alimentari! Sono affamati. Quello può rendere molto di più! Chi ha fame deve pur comprare un pezzo di pane no? “
Suona il cellulare di una delle due: “ La cavalcata delle valchirie ”.
“ Cara…mio Dio quanto tempo!! Tutto bene al Forte ?“
Il Forte, per chi non lo sapesse, è Forte dei Marmi, località della Versilia molto nota, specialmente qui a Parma ; se hai almeno un bilocale al Forte il tuo prestigio, in certi ambienti, sale di molti punti.
Si alza la dolce ragazza dell’est, mi passa accanto, si volta per un attimo verso di me; sta piangendo e quelle sue lacrime mi colpiscono forte, come un pugno nello stomaco e vanno dritte all’anima.
Passa accanto anche alle “signore”, per un attimo rimane come sospesa…sembra voler dire qualcosa, invece le guarda negli occhi, in silenzio, prima una e poi l’altra e scende alla prima fermata.
(Sara Ferraglia)

( Immagine tratta da :http://www.odilialiuzzi.com/NICLA_img/ni.jpg)

martedì 22 gennaio 2008

La penultima fermata


Agosto in città.
E’bello camminare per le vie del centro così vuote, così silenziose. Riesci a cogliere dettagli e particolari che normalmente ti sfuggono. Ti senti più vicina alle poche persone che incontri e quasi vorresti fermarti a scambiare con loro due parole, senza fretta, senza ansia, solo per comunicare, per conoscere le loro storie.
Sono alla fermata degli autobus: la penultima di Via Repubblica. E’ tardi e il sole sta tramontando rosso fuoco in fondo alla strada e si lascia guardare, finalmente dolce ed arrendevole, dopo aver bruciato per tutto il giorno i tetti e le strade.
Si avvicina lentamente una donna anziana dalla corporatura robusta. Cammina come se ogni passo le costasse una fatica enorme. La borsetta piccola, nera, coi bordi spelacchiati e consunti penzola lentamente, al ritmo del suo passo, dalla sua mano destra. Indossa un vestito di tessuto sintetico a grossi fiori rossi, comprato forse sui banchi del mercato della Ghiaia, uguale a mille altri vestiti di mille altre donne anziane.
Improvvisamente scatta in me la voglia di quel gioco che faccio spesso quando sono calma, rilassata e non ho fretta.
Conoscere, capire…vivere la vita di quella persona sconosciuta, la sua storia…è più forte di me, non posso farne a meno.
“ Mi scusi, è già passato l’8?”- e la signora mi parla.
La guardo. Questa volta mi interessa il suo viso: rugoso, rughe dure, di quelle che solo un lavoro nei campi sa scavarti sul volto; occhi piccoli e vivacissimi, brillanti, ancora pieni di energia e di curiosità.
Le sorrido:
“ Non credo. Ma non ho badato molto, non vorrei darle un’indicazione sbagliata…”
Avrei voluto risponderle che non stavo guardando nulla, vedevo solo lei che attraversava e io lavoravo di fantasia, persa in un mondo parallelo: lei, in quei momenti era una persona ai raggi x della mia immaginazione.
“ Sa, io vengo a piedi da San Giovanni. Ho camminato fin qui ma adesso le gambe mi fanno troppo male…”
Si guarda i piedi gonfi, infilati in un paio di patetiche scarpe rese deformi dalle artrosi delle sue ossa.
“E dove deve andare ?”
“Là in fondo alla via. Lo so che è vicino ma non cammino più…Ho fatto un giro troppo lungo…” e mi elenca tutti i borghetti della zona dietro al Duomo. Un percorso preciso che io conosco poco. Lei invece parla come se avesse una mappa della città stampata nella testa.
“Sa, io abito in Via Dalmazia al 22, mi chiamo Pittella Letizia”
Mi viene da sorridere .Questa donna è sola, ha così voglia di parlare che mi dice in un attimo il suo nome, cognome e indirizzo. Mi prende una malinconia struggente .
“ Sono sola – dice abbassando la voce – la libertà che ho la pago con la solitudine! Mangio se voglio e quando voglio,vado dove voglio….ma sono sola”
Non so cosa rispondere…sto per dirle qualche banalità...ma lei continua:
“Lei perché non prende il 22 invece di aspettare l’8?”
Le rispondo volentieri:
“Io lavoro in quel portone, proprio qui davanti vede? E quindi mi fa comodo l’8…”
All’improvviso mi si blocca la parola …Io non ho mai detto a questa Letizia che sto aspettando l’8!
In un attimo cerco di ricordare se ci siamo già parlate, cerco di capire se lei mi conosce, se l’ho già vista ma non trovo nessun collegamento, nessuna ragione per cui lei possa sapere la mia strada di ogni giorno. Sento solo che questa donna mi è vicina, molto vicina e non solo fisicamente.
Ho indovinato che vive sola, ho intuito la sua vivacità contrapposta alla sua tristezza. E lei?
Lei mi sente nello stesso modo? Lei forse ha fatto con me lo stesso gioco!
Ma no…e giustifico il fatto col pensiero che a quell’età ci si confonde e forse mi scambia per qualcun’altra.
Come se niente fosse ,dando per scontato che io abito al capolinea del 22 , e che quindi avrei fatto meglio a servirmi di quella linea ,lei continua a parlarmi del nuovo supermercato di quella zona ,la mia….
Mi riprendo un po’ dallo stupore e sto per chiederle come fa a sapere dove abito ma arriva un autobus e lei mi saluta e a piccoli passi traballanti si avvicina al bordo del marciapiede.
“Signora…mi scusi ma quello non è il suo autobus ! Non stava forse aspettando l’8?”
Lei senza voltarsi mi fa un cenno di saluto con la mano, sale e se ne va lasciandomi sola e allibita sul marciapiede.
Ormai del sole rosso in fondo alla strada si vede solo un semicerchio .
Ecco, sta per arrivare l’8…dovrei salire e tornare a casa e soprattutto dovrei smetterla con questo stupido gioco ma quando l’autista si ferma e mi apre la porta io lo lascio ripartire . Ho un’urgenza. C’è una cosa che devo assolutamente fare.
Attraverso la strada deserta e in fondo alla via giro a sinistra verso Via Dalmazia. Quella donna ha detto di abitare lì, al n° 22.
Sono ansiosa, curiosa, agitata e non so perchè. Non so nemmeno perché sto facendo questo.
Arriverò tardissimo a casa, si preoccuperanno ma io devo vedere dove abita Pittella Letizia.
La via è uno stretto budello che corre fra due file di case del secolo scorso o forse anche più vecchie; nessun albero, nessun giardino, solo portoni che si aprono direttamente sullo stretto marciapiede.
Percorro lentamente il lato dei numeri pari, cercando il 22. Lo trovo : sono otto campanelli e sul primo trovo il nome, Pittella Letizia.
Ecco,adesso potrei anche ritenermi soddisfatta. Potrei smetterla con questo voler credere nelle percezioni strane, nelle voci che arrivano direttamente dal mio cuore e che il cervello spesso si rifiuta di elaborare.
E invece come se non dipendesse dalla mia volontà il mio dito si avvicina al campanello e suono:
una volta,due volte…Silenzio. Nessuno risponde. Sto per andarmene quando si aprono le persiane del primo piano e si affaccia una donna dall’aria infastidita :
“Ma cosa vuole? Perchè suona con tanta insistenza? “
“Mi scusi signora, io cerco Letizia Pittella, non volevo disturbare lei!”
La donna mi guarda in silenzio. Un silenzio che dura una vita.
“Mia madre è morta un mese fa. Abitava qui nell’appartamento di fianco al mio”
Non so come spiegare la mia presenza lì su quel marciapiede .
“Mi dispiace ma…”
Non posso certo dirle che io l’ho incontrata un quarto d’ora prima e che le ho parlato.
“Com’è accaduto?”
“ Purtroppo mia madre era una donna tutt’altro che tranquilla. Alla sua età, nonostante tutti gli acciacchi che aveva ,era continuamente in giro. Passava giorni interi sugli autobus con le scuse più banali. Magari decideva di andare a comprare una micca di pane dall’altra parte della città! Era fatta così…e un giorno mentre scendeva dall’autobus è caduta. Una caduta tanto brutta che non si è più ripresa e se n’è andata…..ma lei? Perché la sta cercando?”
In questo momento devo davvero ringraziare la mia fantasia se quello che sto per dire risulta essere abbastanza logico e credibile:
“Veniva spesso nel mio bar e ogni tanto comprava un biglietto della lotteria. Ne facciamo spesso nel quartiere, a beneficio della casa di riposo…E sua madre comprava un numero e scriveva sempre sulla matrice nome, cognome e indirizzo. Ecco…volevo solo dirle che ha vinto una scatola di caffè…mi dispiace tanto signora…ma mi scusi…dove è accaduto? Che autobus era?”
La donna ora ha lo sguardo triste e gli occhi sono pieni di lacrime.
“ Era l’8. Alla penultima fermata di Via Repubblica.”