Vivo in città ormai da molti anni e il lavoro e i tanti impegni hanno ridotto notevolmente gli spazi dei ricordi e delle emozioni ma questo è uno strano giorno: mentre il bottegaio affetta due etti di Prosciutto crudo, il profumo che viene dalle fette sottili e rosate, oltre che nel naso, mi entra dritto fino al cuore e raggiunge l’anima, golosa e affamata anch’essa… ma di altro cibo.
” Guardi signora, questo prosciutto è del migliore! Ha più di dodici mesi e si vede! “ lui alza la fetta per mostrarmela e io con la mente torno nella mia valle, come non facevo da anni.
Percorrendo il corso del torrente Parma, dalle porte della città, fin quasi alla sorgente, si nota che sorgono qua e là, lungo le sue sponde , gli edifici per la lavorazione del prosciutto crudo.
In questi luoghi sono nata e non mi sono mai accorta della stranezza di queste costruzioni fino al giorno in cui ospitai un’amica di La Spezia:
“Perché questi palazzi sono così sproporzionati?” – mi fece notare lei per la prima volta.
In effetti sono edifici stretti e lunghi, a più piani, sulle cui pareti si aprono lunghissime file di finestroni dai quali, nelle giornate di sole, calde e secche, entra l’aria buona, quella che scende a valle dai monti del nostro Appennino portando il profumo delle pinete e delle foreste di faggi.
In questi sacrari del buon gusto la coscia del maiale diventa nobile, riposando per almeno dodici mesi dopo un lungo e delicato trattamento dalle origini antiche; in quelle fresche cantine aleggia nell’aria un aroma inconfondibile, lo stesso che ora si sparge nella bottega e mi avvolge di sensazioni forti.
In un attimo mi rivedo adolescente seduta a tavola, una sera, nella cucina di casa. Mio padre, mia madre, i miei fratelli e le mie sorelle tutti alle prese con polenta e salsiccia in umido.
“ Devo farlo per forza. Non posso più continuare questo mestiere. La gente non paga e così non si può andare avanti.”- e quella frase sancì un momento fondamentale per tutta la famiglia.
Mio padre, quarant’anni, meccanico fin da quando era ragazzino, una famiglia di cinque persone a carico, con un atto di “disperazione”, come è solito ricordarlo lui, con un atto di gran coraggio, come amo definirlo io, cambiò mestiere. Affittò l’officina, abbandonò la tuta blu sempre macchiata di grasso e olio scuro, lavò e sfregò le sue mani indurite dai calli fino a farle diventare morbide e bianche, indossò giacca e cravatta e ogni giorno, per mesi, che gli sembrarono interminabili, seguì da vicino il lavoro di Piero, lo zio ricco che si prese a cuore la nostra sorte e lo introdusse in un nuovo mondo, quello del prosciutto.
Piero era stato uno dei pionieri della lavorazione del prosciutto nella valle e in questo campo la sua autorevolezza e il suo naso fino erano riconosciuti da tutti, come lo erano i suoi atteggiamenti burberi e bizzarri che gli valsero l’attribuzione di un nomignolo altisonante, Pieràn.
Pieràn per prima cosa insegnò a mio padre la “spillatura”. Estraeva dal taschino un ago d’osso di cavallo e con questo forava la coscia profumata in cinque punti precisi; dopo ogni forata portava l’osso al naso, inspirava a lungo, a bocca chiusa, chiudeva anche gli occhi e alla fine emetteva il verdetto. Mio padre imparava, anche se fino ad allora l’odore che aveva conosciuto meglio era quello dei gas di scarico e dell’olio che bruciava nei motori. Forse, ripensandoci, Pieràn gli raccontò la storia del Re Prosciutto a rovescio, partendo dalla fine, perché la spillatura si esegue dopo un lungo anno di cure ed attenzioni ma la magia di questo rito servì a far entrare il nuovo mestiere direttamente nel cuore di mio padre.
O forse se imparò così in fretta fu grazie alle levatacce all’alba, quando Pieràn entrava nel nostro cortile con la sua Lancia Fulvia coupè e strombazzando col clacson urlava dal finestrino:
“ Ben mo allora! Dormi ancora? Sta su dal letto, vagabondo! I prosciutti non dormono, sono già svegli! Dai, fai presto!” – il tono e i modi sgradevoli erano in forte contrasto con l’eleganza degli abiti e del portamento.
Mio padre in tutta fretta si preparava per una nuova giornata, magari un pò innervosito dal modo di fare dello zio ma consapevole che contraddirlo o non assecondarlo avrebbe significato perdere una grossa opportunità oltre che la fiducia riposta in lui dal vecchio Maestro.
“ Oggi ci mettiamo il grembiule e andiamo a salare.” – altro momento molto delicato quello, che richiedeva una grande esperienza nel dosare, in base al peso, i granelli cristallini e distribuirli nei punti giusti, in modo tale che la coscia potesse assorbirlo lentamente, mollemente adagiata sui bancali di legno in attesa del suo divenire dolce prelibatezza nel tempo.
Mani esperte e “Maestri salatori” possono contribuire molto alla buona riuscita del prodotto ma il tempo, con il suo scorrere lento nelle immense cantine, come per il buon vino, ha il ruolo fondamentale del giudice che sa premiare chi ha saputo attendere.
Anche mio padre, come le carni che imparava a maneggiare, attendeva il giudizio del tempo e nel frattempo si allontanavano gli spettri del passato e prendevano forma nuove sicurezze, nuove certezze, grazie alla sua fervida intelligenza e alla sua capacità di adattarsi alla nuova situazione. Lo zio Pieràn fu sempre al suo fianco, garante e affettuoso tutore finché la vita gliene concesse la facoltà. Per mio padre, negli anni successivi, il giudizio del tempo fu favorevole: a piccoli passi e con grandi sacrifici ebbe modo di guadagnare per sé e per la sua famiglia quella vita agiata e tranquilla, che per anni gli era sembrata solo un sogno
“ Signora mi ha detto due etti? ”- il bottegaio nel frattempo continua ad affettare quello che da molti anni in casa nostra è diventato il protagonista assoluto di antipasti, cene e spuntini vari, il Re Prosciutto, come lo chiamiamo noi, attribuendogli una nobiltà e un’importanza , che solo noi possiamo cogliere nel suo più intimo significato.
“ Faccia tre etti, grazie…” – rispondo e formo sul telefono cellulare il numero di casa dei miei genitori.
“ Ciao…cosa fate stasera? Siete impegnati? Bene…allora vi aspetto a cena…no, nessun disturbo…ho voglia di stare un po’ con voi…solo un po’ di pasta e…due fette di prosciutto! ”
( Sara Ferraglia )
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