lunedì 16 maggio 2011

Le mamme possibili


Il nostro codice segreto ( breve dialogo fra madre e figlio appena nato )

( “ Chi parla così forte? Che rumore! Io stavo meglio là dentro, aiuto che succede?”)


Ti ho toccata, accarezzata, fiutata e  ci siamo scambiate il nostro indelebile codice segreto e tu, piccolo corpo ancora chiuso al mondo esterno, hai a disposizione solo questo per comunicare con me, per sentire che le nostre carni si sono staccate  ma ci apparteniamo ancora.

(“ Non posso parlare, non sono capace… ma so chi sei.  Però adesso ho fame…Non m’importa di nient’altro al mondo, solo della mia fame.”)

La tua manina rosa e un po’ rugosa si aggrappa al mio seno, lo stringe e la tua bocca non smette di cercare e di succhiare e alla fine si stacca: la tua espressione ora è di pace e sazietà mentre ti addormenti fra le mie braccia. Lentamente mi alzo e ti poso nella culla.

( “ Eh no! Così non mi piace mica tanto! C’era più caldo prima e poi mi piaceva come mi facevi dondolare…dai, prendimi ancora in braccio altrimenti piango…Ok…allora piango!”)

Dobbiamo imparare a vivere staccate, piccolina mia, dobbiamo imparare che ora abbiamo due vite, capisci? La risposta è nel tuo pianto, che, da intermittente mugugno, diventa assordante grido di rabbia, che rende paonazzo il tuo viso.
E va bene…ancora un attimo di coccole, vieni…
“Dondola, dondola e il vento la spinge, cattura le stelle per  i suoi desideri…” canto piano piano e tu ti calmi.

( “ C’è tempo mamma per imparare a staccarci! Adesso stiamo così che ci sto meglio!”)

Passeranno troppo in fretta questi giorni… e i mesi… e gli anni… e non torneranno più ma non perderemo mai il nostro codice segreto.

Sara Ferraglia


Per approfondimenti qui
e qui


domenica 3 aprile 2011

Il viaggio sulle onde


Il viaggio sulle onde

Il mare di Trieste per molti anni le sussurrò la buona notte ogni notte.
Laggiù, più a sud era lo stesso caro mare eppure sembrava parlare una lingua diversa o forse era lei
che stava diventando sorda.
Era dunque lo stesso mare che quella notte la sfiorò nel sonno, l’accarezzò e la invitò :
- Maria… Maria… andiamo, ormai è l’ora –.
Maria, che si era fatta piccola e gracile per l’età avanzata, Maria coi capelli bianco argento e gli occhi chiari e vispi come quelli di una ragazza, si sedette sul letto.
- Eccomi, sono pronta-.
La presero sottobraccio, una per parte, due onde gagliarde e gelide giunte apposta per lei dal mare di Trieste. Sorrise ad entrambe  e mentre si sollevavano leggere iniziò a raccontar loro tutta la sua vita, dei suoi viaggi, dei suoi amori, dei suoi dolori, dei suoi figli, nipoti e pronipoti.
- L’ultima nata si chiama Claudia, è la figlia di mio nipote Nicola , vedeste come è piccola e che sorriso dolce … peccato che l’ho vista  così poco! L’ho tenuta in braccio solo una volta …-
Sorrise ammiccando sorniona e le onde capirono che una piccola deviazione era  ancora possibile.
Salivano intanto verso nord, lungo la riviera romagnola silenziosa e addormentata in quel periodo di bassa stagione.
- Guardate laggiù…il Castello di Gradara ! Ecco, dimenticavo di dirvi che lì si è sposato mio nipote, lo scorso anno in maggio e io c’ero. Ho fatto fatica perché ero  già molto stanca ma ero felice per lui e ho voluto essere presente.-
Mandò un bacio con la mano verso le mura medioevali che nel buio si scorgevano appena.
- Reggiti forte Maria, acceleriamo un po’ che il viaggio è ancora lungo – e le onde triestine salirono più su nel cielo stellato, stringendo la nonna in un abbraccio robusto ma nello stesso tempo delicato.
Maria si godette lo spettacolo unico e raro delle costellazioni che sembravano salutare il suo passaggio con scintillii e bagliori più luminosi; esattamente sotto la costellazione della Bilancia  si stendeva quella parte di Pianura Padana dove ormai sapeva che avrebbero fatto tappa.
Si abbassarono fino a lambire i fasci di luce provenienti dai fari delle auto in corsa lungo l’autostrada, fino ad immergersi in una coltre di nebbia fitta che galleggiava sulla campagna quasi rasoterra, come un mare grigio e morbido. Stava albeggiando e l’orizzonte già appariva rischiarato dal sole che stava per spuntare.
La piccola casa color ruggine  dormiva ancora, gli scuri tutti serrati.
- Vai nonna Maria – dissero le nuvole  posandola delicatamente sull’erba del giardino bagnata di rugiada – noi ti aspettiamo qui.
Maria entrò : muri, porte e finestre ormai non le opponevano alcuna resistenza.
Salì al primo piano dal quale proveniva il suono di tre respiri diversi. Entrando nella grande camera  si avvicinò  al letto, accarezzò lievemente suo nipote e la giovane moglie e si avvicinò alla piccola culla tutta bianca ai piedi del  letto.
Quando le fu sopra fu grande la sorpresa : un piccolo gorgoglìo nel buio e il movimento frenetico di due manine che si aprivano e subito dopo si richiudevano a pugno come per dirle ciao furono il preludio al sorriso più dolce del  mondo.
- Ciao piccola creatura, nonna Maria è venuta a salutarti. Un bacio e … buona fortuna!- e in un attimo Maria si ritrovò rannicchiata di nuovo nell’abbraccio delle onde e ripartì per il suo ultimo viaggio.
Erano le cinque del mattino.

lunedì 31 gennaio 2011

Non si maltrattano così le signore

Ripropongo oggi un racconto che scrissi anni fa e che, nel frattempo, è comparso


su  : Viadellebelledonne


su  : Blogolonelbuio



( Donna allo specchio - Picasso )


Non si maltrattano così le signore.



Mi sono accomodata sulla poltrona del parrucchiere. Poca gente, musica new-age e volume un po’ troppo alto.

“ Arrivo subito da te “ Luca, uno dei ragazzi che lavora lì, rigorosamente vestito tutto di nero, si affaccia dall’altra stanza per poi sparire di nuovo.

Rimango sola davanti ad uno specchio immenso e crudele.

Molti anni fa mi piaceva guardarmi, sciogliere i miei capelli neri, lunghi e lisci nell’attesa che arrivasse chi doveva prendersi cura di loro e poi spostarli tutti sulla spalla reclinando il capo, con un gesto lento, studiato, lezioso e guardarmi nello specchio, fissarmi negli occhi scuri, grandi e accesi. Accadeva molti anni fa. Ora lo specchio è crudele perché non mi concede nulla. Non ho più capelli neri da sciogliere, perché da qualche tempo li porto corti, con la scusa che meglio si adattano alla mia personalità; in realtà lo faccio perché sono pratici, li posso lavare ogni mattina sotto la doccia e con le sole mani in pochi minuti li posso acconciare. E poi il capello lungo ad una certa età fa “dietro trofeo, davanti museo”. E poi il capello lungo ha bisogno di cura e attenzioni che solo un parrucchiere può dare, altrimenti si spezzano, si formano le doppie punte…E poi, e poi, accidenti, chi se ne frega del perché ho i capelli corti! Sono tutte elucubrazioni mentali che vogliono solo esorcizzare il tempo e la paura di vedere riflesse in questo specchio le tracce che questo mostro ha lasciato sul viso, sul collo, sui capelli.

“ Eccomi. Ciao, come stai?” dice Luca che con un balzo è tornato dietro le mie spalle.

In realtà non gliene frega niente di come sto io e quindi freddamente rispondo:

“Ciao a te, cosa facciamo coi miei capelli?”

“Dimmi tu, cosa vuoi?”

Un’altra cosa che da un pò di anni faccio fatica ad accettare (credo più o meno da cinque anni o giù di lì ) è questa facilità che hanno i giovani di darti del tu. Una mia amica dice che a lei piace perché la fa sentire a suo agio, invece a me fa sentire fuori posto.

Mi tocco i capelli, li giro e li rigiro fra le dita e poi decido:

“Taglia. Un bel corto tutto sfilatino.”

Luca canticchia e prende da un cassetto una mantella nera così non mi si appiccicheranno tutti i capelli sui vestiti.

Sbandierando come un toreador mi avvolge in quella nuvola sintetica e chiude il tutto stringendo il laccetto di velcron sulla mia nuca.

A quel punto il mio collo subisce una rapida trasformazione e la pelle si raggrinza, si affloscia, si piega e io mi sento un visitor, un E-t appena sbarcato su madre terra!

“Scusami, ho forse stretto troppo?”

“ Un pochino!” gli rispondo col volto paonazzo.

Luca allenta il laccetto e il mio collo si distende di nuovo e torna alla normalità come pure il mio colorito e il ragazzo, sempre canticchiando inizia a tagliuzzare qui e là sulla mia testa.

Continuo a guardarmi nello specchio, che mi sembra sempre più grande e sono rigida come un baccalà, con tutti i muscoli del mio corpo in massima tensione.

Una volta, credo circa dieci anni fa o giù di lì, (incredibile come, ultimamente, mi venga naturale e urgente quantificare il tempo) mi capitava raramente di non sentirmi a mio agio in qualsiasi situazione mi trovassi mentre ora, ogni tanto, divento Dottor Jackil o Mr.Hide e subisco queste strane metamorfosi.

La porta a vetri del negozio si apre e insieme ad una folata di gelo entra qualcuno.

“Ciao caro, come stai? Hai tempo per me che ho un po’ fretta? Come mi trovi? “ la voce un po’svenevole precede di qualche istante l’immagine di una stupenda ragazza che ora si riflette nello specchio divenuto, per l’occasione, improvvisamente benevolo.

Mi chiedo come farà Luca a rispondere contemporaneamente a tre domande precise e a mettersi subito a sua disposizione poiché sta lavorando sulla mia testa.

Lui prima con quella strizzatine di velcron ha messo a disagio me e quindi ora aspetto di vedere il suo imbarazzo nel dovermi mollare su due piedi! Eh sì ragazzino, qui ti voglio!

“ Ciao bellissima, bene grazie e tu? Ma certo, sarò da te fra pochi minuti e ti trovo splendidamente in forma “ si gira verso la scala e chiama Anna, pregandola di venire subito a sostituirlo.

Mi sorride, si allontana camminando a ritroso e intanto mi dice:

“Scusa sai. Io qui ho finito e ti asciugherà Anna. Non ti dispiace vero? Grazie.”

Ecco come ha fatto. E se l’è cavata anche bene. Sarà grazie all’esperienza o sarà per quella massa di riccioli rossi e quella fila di denti bianchissimi che gli stanno davanti?

Non ho nemmeno il tempo di rispondere che lui è già sparito nella stanza accanto seguito da una fresca e svolazzante scia di profumo.

Torno a girarmi verso lo specchio, sempre più rigida, sempre più baccalà e intanto alle mie spalle arriva Anna, che, un po’ infastidita mi saluta con un secco “buongiorno” e una veloce strizzatina di velcron, così mi trasformo di nuovo, prima in E-T e subito dopo in Mr.Hide.

Sento il mio volto farsi di nuovo paonazzo e i battiti cardiaci accelerare come impazziti.

“ Senti ragazzina, allenta subito questo laccio che mi stai strangolando “- le dico con una voce quasi gutturale, che suona nuova anche alle mie orecchie – e poi corri di là e dì a Luca che gli devo parlare immediatamente, capito? Vai!!!”

Mi strappo via il mantello da toreador, mi alzo in piedi di scatto pregustandomi il momento di gloria che avrò quando mi troverò davanti quello stronzetto di Luca…Gliele canterò in rima, gli dirò quanto è stato maleducato e che non mi vedrà più nel suo negozio e gli dirò anche che mi dava tremendamente fastidio quando si rivolgeva a me con quel “tu” troppo facile e gli dirò che non è mai stato capace di mettermi a modo la mantellina sulle spalle! Oh, ma quante gliene dirò!

Luca arriva e io troneggio su di lui come una regina disadorna (citazione da uno dei miei autori preferiti) mani sui fianchi da brava “rezdora”, capelli dall’acconciatura spaziale e fumo che mi esce dalle narici come ai tori nell’arena.

“Dimmi, che problema hai?”

Mi da del tu e mi fa anche una domanda precisa: che problema ho.

Che problema ho?

Ne ho mille di problemi e non uno. Il più grosso è che ad una domanda precisa in una situazione di disagio, non mi viene mai la risposta che vorrei.

Qualche secondo di silenzio e poi…le braccia mi scivolano lungo i fianchi, i capelli mi si afflosciano e la mia statura immensa torna nella norma.

Con una vocina flebile e tremula che non mi appartiene per nulla, esattamente come non mi apparteneva quella roca di prima, dico :

“ Non si maltrattano così le signore” … divento rossa come un papavero e penso…meno male che leggo molto e vedo molti film, così qualche volta mi vengono le risposte giuste al momento giusto!



Titolo Film

NON SI MALTRATTANO COSI' LE SIGNORE

Anno

1968

Titolo originale

NO WAY TO TREAT A LADY

Durata

107

Vietato

14

Origine

USA

Colore

C

Genere

DRAMMATICO

Formato

TECHNICOLOR

Tratto da

ROMANZO DI WILLIAM GOLDMAN




(Sara Ferraglia)