mercoledì 21 novembre 2007

I colori prigionieri


I Colori prigionieri

C’era una volta una bambina che un giorno si stancò di disegnare con le matite di legno colorate e preferì dei grossi pennarelli di plastica. Fece un fascio di tutte le matite, le legò con un elastico e le ripose nel fondo di un cassetto; sulle prime le poverine furono incredule:
“Non temete, sarà solo per pochi giorni” – così il Rosso, potente e focoso capo, cercava di incoraggiare tutte le altre ma il tempo passava e quel cassetto non si apriva mai diventando, giorno dopo giorno, una prigione stretta e buia.
“Ah…poveri noi! Siamo stati abbandonati qui dentro e io finirò per diventare Verde Marcio in questo posto!” – il Verde piangeva disperatamente e le sue lacrime, cadendo goccia a goccia sul legno, lasciavano larghe chiazze color dell’erba in primavera.
“ Smettila! Proprio tu…Verde Speranza ti chiamano! E invece guarda lì come sei ridotto…piagnucoloso che non sei altro! Smettila e cerchiamo tutti insieme una soluzione per uscire di qui…- strillò il Giallo con la sua vocina acuta e i suoi modi stizzosi.
“Certo, ha ragione…dobbiamo sempre sperare! C’è sempre qualcosa di buono in ogni situazione e se ci è accaduto tutto questo un motivo valido ci sarà non credete? “ – il languido Rosa, delicato ed aggraziato come sempre, stava dando a tutti gli altri la sua solita lezione di ottimismo, sbattendo le ciglia e sorridendo a destra e a manca. Nella discussione intervennero anche le altre matite, anche quelle che di solito tacevano, quelle più timide, come l’Azzurro e il Grigio e così si creò una gran confusione, perché ognuno diceva la sua.
“Forse non erano belli e luminosi il sole e le stelle che io le regalavo?” – e una lacrima luccicante come l’oro spuntò dagli occhi del Giallo.
“Forse eri troppo acido quando coloravi limoni a più non posso! – rise fragorosamente il Marrone – avrei dovuto insistere di più io, che ero così dolce quando le riempivo le tazze di cioccolata calda e fumante!
“ La colpa non è nostra! Noi le abbiamo dato tutto quello che lei desiderava…- il Blu e il Viola si stavano perdendo nei ricordi - cielo, mare, tramonti , arcobaleni, fiori e frutti…”
Furono zittiti bruscamente dalla voce tuonante del Nero:
“ E basta…! E’ ora di finirla, sdolcinate e stucchevoli creature che non siete altro – urlò il Nero, l’unico che si trovava a suo agio anche in quel luogo oscuro e senza luce – siamo stati abbandonati. Ha ragione il Verde…invecchieremo qui dentro, sommersi dalla polvere e dai ricordi.”
Passarono i giorni, le stagioni e gli anni e la bambina cresceva. Si avverò anche la cupa profezia del Nero, quando videro accumularsi nel cassetto, sopra i loro corpi colorati e sottili, mille oggetti un tempo amati e poi abbandonati; pupazzetti dai nomi strani, un diario segreto, un poster gigante di un personaggio famoso, lettere e fotografie di un ragazzino biondo dal volto pieno di brufoli che abbracciava una ragazza dal sorriso abbagliante, la bambina di un tempo.
Quando ormai le matite avevano perso ogni speranza di rivedere la luce, accadde un fatto nuovo: all’improvviso il cassetto si aprì, ad uno ad uno i mille oggetti che vi giacevano accatastati furono rimossi e due mani delicate e segnate da qualche ruga arrivarono al mazzetto di matite colorate e le avvolsero in un caldo abbraccio che loro, poverine, avevano ormai dimenticato.
“Guarda un pò…delle matite colorate! Da quanto tempo siete qui? Lei era così piccola …”- era la mamma della bambina quella signora dai capelli grigi che ora, mentre liberava le matite dall’elastico che per anni le aveva costrette l’una addosso all’altra, liberava anche tutti i suoi ricordi. I colori, finalmente riportati alla luce del sole e all’aria aperta, inspirarono ed espirarono così forte che sfuggirono dalle mani della signora e ricaddero sul pavimento spargendosi a raggiera tutt’intorno. La signora fece un balzo all’indietro per lo spavento:
“ Ma che diavolo…sembrate quasi vive!” – poi si avvicinò, si chinò e le raccolse ad una ad una allineandole sul tavolo.
Il Rosso, al quale piaceva mettersi sempre in mostra, con uno sforzo immenso fece in modo di rotolare sul tavolo, fino ad uscire dalla fila e a distaccarsi dal gruppo. E fu così che la signora lo notò, lo prese fra le dita, si fermò un attimo ad osservarlo, sorrise, come persa in qualche tempo lontano, poi prese un foglio bianco e scrisse:

Rosso.
E tu rispondi rosso peperone
Io penso al rosso di quel grande cuore
Che hai disegnato piena d’emozione
Su quel tuo diario per il primo amore.

La signora passò in rassegna con lo sguardo tutta la fila delle matite; posò il Rosso e in quel mentre notò che il Giallo si agitava in una specie di convulsa e scoordinata danza tribale che lo portò direttamente nella sua mano.

Giallo.
E tu rispondi giallo canarino
Io penso al giallo del cotone leggero
Che hai scelto per quel corto vestitino
Che volevi mostrare al mondo intero.

Stupita la signora rilesse quello che aveva scritto e che era uscito dal suo cuore così di getto, come se qualcuno glielo avesse dettato. Le piacque tanto che si sentì incoraggiata a continuare e questa volta lo fece col Verde, che se ne stava lì tranquillo, primo della fila, a sperare di essere preso in considerazione; d’altronde…lo chiamavano o no “Verde Speranza”?

Verde.
E tu rispondi verde come l’erba
Io penso al verde di quel primo ombretto
Che ti sfumavi piano sulla faccia acerba
Cercando nello specchio un tuo difetto.

Fu allora che amore, tenerezza e un briciolo di tristezza per un passato che mai più sarebbe tornato, si fusero insieme, dando origine, nella mente della signora, ad un sentimento dal tono più cupo e fu con quello stato d’animo che scelse il Viola:


Viola.
E tu rispondi violette appena nate
Io penso al viola del casco e al motorino
Che han visto le tue corse scatenate
Già così allegra fin dal primo mattino.

Tutte le matite colorate intanto si agitavano, si guardavano l’un l’altra sorridendo, tutte felici di essere di nuovo tornate utili a qualcuno.
Solo una, in mezzo all’euforia generale, se ne stava tristemente in disparte, consapevole di passare sempre troppo inosservata e di non essere mai stata amata come le altre, il Bianco.
Era ormai sera. In strada si accesero i lampioni e fu così, guardando fuori dalla finestra che la signora si accorse che stavano cadendo fiocchi di neve grandi come una mano, che avevano già imbiancato tutto il prato. E forse fu per questo che, solo col pensiero, senza scriverla, al Bianco dedicò la strofa più bella:

Bianco.
E tu rispondi il bianco della sposa
Io penso al bianco della luce vera
Che tu hai portato sempre in ogni cosa
Ne faccio un quadro e per me vien sera.

Alla fine la signora rilesse quello che aveva scritto, piegò delicatamente il foglio, raccolse tutte le matite colorate e su quel foglio le posò con dolcezza, come se fosse per loro un morbido giaciglio che le avrebbe accolte per sempre.
Poi mise tutto in una bella scatola di velluto rosso e sul coperchio pose un’etichetta dorata sulla quale scrisse:
“ I colori di mia figlia".


(Sara Ferraglia -Fiaba 1^ classificata al Concorso "Una Fiaba Azzurro Ceno"- Varano Melegari - giugno 2005)
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