Due anime color seppia
Quella mattina di un grigio fine gennaio dell’anno 2002 le anime color seppia di Alfredo e di Chiara si svegliarono infreddolite. Brividi violenti scuotevano la loro diafana essenza come non era mai accaduto prima d’allora.
Era passato tanto tempo da quando si erano addormentati nel lontano 1901, a pochi mesi l’uno dall’altra.
Per prima era partita l’anima di Chiara, in una limpida notte di febbraio e lei, salendo nel cielo stellato sopra la campagna emiliana, vedeva allontanarsi un campo candido di neve ghiacciata, dove si rifletteva la luce della luna, tanto che sembrava punteggiato da migliaia di lucciole.
Guardando in alto, oltre le nuvole, Chiara riusciva ad intravedere qualcosa che la precedeva di poco, una forma scura, capelli e barba candidi di un volto noto, che cantava il “Và pensiero”.
“Mò vè che lavoro! Ma che sia “il maestro”? E’ morto il 21 gennaio ed è ancora qui ! ”
Era davvero l’anima di Verdi che stentava a prendere quota, perché da laggiù, troppi la rimpiangevano e la evocavano ancora, e le facevano da pesante zavorra.
Anche Chiara per un attimo fu affascinata da quell’inattesa presenza che si fece sempre più vicina.
“ Del Giorda…nooo le ri…veee saluuta, di Sionne le to…oorri atterrate…” intonò timidamente quando gli fu al fianco e allora vide l’anima del Maestro contorcersi, terribilmente infastidita da quella “villica” che “cotanto ardìa” con quel suo canto stonato.
Delusa se lo lasciò alle spalle cercando di percepire, ovattato e sempre più affievolito, il pianto del suo Alfredo, che mungeva la Mora, la loro vacca più bella, seduto su uno sgabello di legno nella stalla.
Alfredo singhiozzava scuotendo la testa e il latte scendeva a fiotti caldi nel secchio, insieme a qualche lacrima, poi si fermava e guardava nel vuoto e un colpo di coda della Mora lo invitava a continuare la mungitura; voleva essere nello stesso tempo un invito e una carezza consolatoria quel violento colpo di coda e Alfredo riprendeva a mungere e a singhiozzare scuotendo la testa.
“ Mò dai, Alfredo, smettila di piangere e lavora che a minuti passa il casaro e tu non hai riempito neanche un secchio!”- brontolava Chiara mentre si allontanava e ancora non aveva perso il senso pratico dell’anima contadina.
Intorno alla loro piccola casa, solo campi innevati e alberi spogli nei frutteti e poi, più in là, la stalla e la casa di Severino ( detto Rino ) e della Cleonice ( detta Nice ), ai quali Chiara mandò un bacio, convinta di aver ancora una mano e una bocca.
Un bacio vero e proprio non arrivò mai a destinazione ma, in quel preciso istante, una fogliolina ormai secca del rametto d’ulivo appeso sopra la testata del letto, si staccò e si posò delicatamente sulla guancia della Nice.
Arrivata lassù Chiara si sdraiò e chiuse gli occhi aspettando Alfredo, che partì in ottobre e durante il suo viaggio vide i cesti gonfi di moscato dorato e Rino e la Nice che si preparavano per la pigiatura dell’uva. Lui era già a piedi nudi nel tino mentre lei si sistemava le vesti intorno ai fianchi per non sporcarle di mosto.
“Vè, Rino, ti sei lavato bene i piedi? “ e gli sorrideva maliziosa.
Rino le rispose cantando un ritornello antico:
“Filar non vol filar, cusir non la sa far el sol de la campagna, la dis che ghe fa mal.
Dirindin din, dirindin din, “
Forte e irresistibile quell'odore dell'uva saliva, saliva, stordiva e incantava.
Anche Alfredo, come Chiara, era convinto di aver ancora un braccio e una bocca quando si allungò il più possibile chiedendo agli amici un buon bicchiere di bianchetto profumato; la sua richiesta non giunse alle loro orecchie ma di certo si sa che loro andarono raccontando per molti anni a venire che una volta, durante una pigiatura del moscato, il mosto all’improvviso cominciò a bollire sotto i loro piedi, come se fosse sopra il fuoco.
Alfredo invece capì di essere diventato un’altra cosa e si sdraiò al fianco della sua Chiara e anche lui si addormentò, fino a quell'insolita mattina di fine gennaio 2002.
Laggiù, in quella che era stata la loro camera da letto, troneggianti dalla parete sopra al camino, erano rimasti i loro sguardi cupi, immortalati in un ritratto color seppia dalla cornice ovale.
Lassù, invece, per molti anni, essi avevano riposato uno di fianco all’altra nel silenzio e nella tranquillità, senza mai sentire la necessità di abbandonare la loro posizione orizzontale e fluttuante per dare uno sguardo sotto di loro ma quella mattina di gennaio qualcosa era cambiato.
Li aveva svegliati quel freddo insopportabile e si accorsero terrorizzati di come fosse improvvisamente difficile mantenersi in equilibrio, perché, a tratti una forza misteriosa li spingeva, li schiacciava, come un vento bizzarro e loro, povere anime color seppia, erano sbalzate di qua e di là, passando dall’abituale posizione orizzontale a quella verticale e poi sottosopra e poi di nuovo orizzontali, come due aquiloni impazziti. In quell’insolito turbinio i folti baffi all’insù di Alfredo si attorcigliarono come quelli di Don Chisciotte; i capelli di Chiara, da tempo immemore raccolti a crocchia sulla nuca, si scompigliarono disponendosi a ventaglio intorno a lei.
Sul portellone laterale del furgone parcheggiato nel cortile della casa spiccava, in una bella tinta fosforescente, la scritta: “Raimondo, lo sgombero solai più veloce del mondo”.
Due operai da qualche ora stavano svuotando le stanze di quella vecchia casa disabitata da anni:
“ Ci vuole del coraggio a comprare una roba così! Guarda qui, il tetto cade a pezzi!” commentava uno di loro.
E l’altro:
“ Adesso è di moda ristrutturare questi rustici; piuttosto sai cosa ti dico? Non capisco perché i nuovi proprietari vogliano buttare tutto quello che c’era qua dentro…ad esempio, guarda questa fotografia…magari era un bel ricordo per qualcuno” e staccò dal muro le due povere anime color seppia che, in quell’istante si svegliarono in quel modo tremendo che già conosciamo.
Nella stanza la temperatura crollò improvvisamente di cinque gradi e un vento siberiano fece sbattere porte e finestre :
“ Ma cosa sta succedendo? Senti che freddo…Dai, finiamo un pò in fretta altrimenti moriremo assiderati!”- e l’uomo gettò sul furgone il ritratto, il cui vetro si frantumò in mille pezzi; nel gelido silenzio di quella stanza il suo cellulare cominciò a squillare sulle note del “Và pensiero”.
“ Hai cambiato la suoneria? Ti sei convertito alla lirica adesso?”- gli chiese il collega.
“ Ma guarda che strano, io non cambio suoneria da anni! Lo sai che ho quella roba là…dai, come si chiama…la Macarena !”
Estrasse il telefono dal taschino e si apprestò a rispondere, guardando il display che lampeggiava a intermittenza e la cui luce, anziché essere verde come sempre, era di un delicato color seppia; dopo qualche istante il fastidioso lampeggìo cessò e a poco a poco si delineò un’immagine, prima sfocata e poi sempre più nitida e il volto dell’operaio assunse un’aria così terrificante che anche l’altro uomo, preoccupato, si avvicinò per capire cosa gli stesse accadendo.
Quello che videro sul display non lo avrebbero mai più dimenticato: i due sposi del ritratto color seppia li stavano guardando sorridenti e un pò spettinati; l’uomo, il burbero Alfredo si attorcigliava un baffo intorno al dito e la donna, la tenera Chiara, con la mano mandò loro un bacio, che si posò lieve come una piuma sul viso di entrambi.
I due uomini, pallidi come la luna, si guardarono allibiti e ciascuno vide il volto dell’altro alterato dall’incredulità e dalla paura; rimasero così, immobili come due statue di cera, per un buon quarto d’ora.
Intanto una voce dal cellulare tuonava:
“ Ben mò allora! Siete rimbambiti? Cosa state facendo? Rispondete sì o no? Boia di un mondo ladro…se vi piace scherzare questo non è il momento! Ci sono ancora tre sgomberi urgenti da fare, imbecilli !” – era il titolare, il signor Raimondo, al quale, da quel giorno vennero forti dubbi sul fatto che il suo servizio fosse il più veloce del mondo.
( Sara Ferraglia)