venerdì 21 marzo 2008

Due anime color seppia

Due anime color seppia

Quella mattina di un grigio fine gennaio dell’anno 2002 le anime color seppia di Alfredo e di Chiara si svegliarono infreddolite. Brividi violenti scuotevano la loro diafana essenza come non era mai accaduto prima d’allora.
Era passato tanto tempo da quando si erano addormentati nel lontano 1901, a pochi mesi l’uno dall’altra.
Per prima era partita l’anima di Chiara, in una limpida notte di febbraio e lei, salendo nel cielo stellato sopra la campagna emiliana, vedeva allontanarsi un campo candido di neve ghiacciata, dove si rifletteva la luce della luna, tanto che sembrava punteggiato da migliaia di lucciole.
Guardando in alto, oltre le nuvole, Chiara riusciva ad intravedere qualcosa che la precedeva di poco, una forma scura, capelli e barba candidi di un volto noto, che cantava il “Và pensiero”.
“Mò vè che lavoro! Ma che sia “il maestro”? E’ morto il 21 gennaio ed è ancora qui ! ”
Era davvero l’anima di Verdi che stentava a prendere quota, perché da laggiù, troppi la rimpiangevano e la evocavano ancora, e le facevano da pesante zavorra.
Anche Chiara per un attimo fu affascinata da quell’inattesa presenza che si fece sempre più vicina.
“ Del Giorda…nooo le ri…veee saluuta, di Sionne le to…oorri atterrate…” intonò timidamente quando gli fu al fianco e allora vide l’anima del Maestro contorcersi, terribilmente infastidita da quella “villica” che “cotanto ardìa” con quel suo canto stonato.
Delusa se lo lasciò alle spalle cercando di percepire, ovattato e sempre più affievolito, il pianto del suo Alfredo, che mungeva la Mora, la loro vacca più bella, seduto su uno sgabello di legno nella stalla.
Alfredo singhiozzava scuotendo la testa e il latte scendeva a fiotti caldi nel secchio, insieme a qualche lacrima, poi si fermava e guardava nel vuoto e un colpo di coda della Mora lo invitava a continuare la mungitura; voleva essere nello stesso tempo un invito e una carezza consolatoria quel violento colpo di coda e Alfredo riprendeva a mungere e a singhiozzare scuotendo la testa.
“ Mò dai, Alfredo, smettila di piangere e lavora che a minuti passa il casaro e tu non hai riempito neanche un secchio!”- brontolava Chiara mentre si allontanava e ancora non aveva perso il senso pratico dell’anima contadina.
Intorno alla loro piccola casa, solo campi innevati e alberi spogli nei frutteti e poi, più in là, la stalla e la casa di Severino ( detto Rino ) e della Cleonice ( detta Nice ), ai quali Chiara mandò un bacio, convinta di aver ancora una mano e una bocca.
Un bacio vero e proprio non arrivò mai a destinazione ma, in quel preciso istante, una fogliolina ormai secca del rametto d’ulivo appeso sopra la testata del letto, si staccò e si posò delicatamente sulla guancia della Nice.
Arrivata lassù Chiara si sdraiò e chiuse gli occhi aspettando Alfredo, che partì in ottobre e durante il suo viaggio vide i cesti gonfi di moscato dorato e Rino e la Nice che si preparavano per la pigiatura dell’uva. Lui era già a piedi nudi nel tino mentre lei si sistemava le vesti intorno ai fianchi per non sporcarle di mosto.
“Vè, Rino, ti sei lavato bene i piedi? “ e gli sorrideva maliziosa.
Rino le rispose cantando un ritornello antico:
“Filar non vol filar, cusir non la sa far el sol de la campagna, la dis che ghe fa mal.
Dirindin din, dirindin din, “

Forte e irresistibile quell'odore dell'uva saliva, saliva, stordiva e incantava.
Anche Alfredo, come Chiara, era convinto di aver ancora un braccio e una bocca quando si allungò il più possibile chiedendo agli amici un buon bicchiere di bianchetto profumato; la sua richiesta non giunse alle loro orecchie ma di certo si sa che loro andarono raccontando per molti anni a venire che una volta, durante una pigiatura del moscato, il mosto all’improvviso cominciò a bollire sotto i loro piedi, come se fosse sopra il fuoco.
Alfredo invece capì di essere diventato un’altra cosa e si sdraiò al fianco della sua Chiara e anche lui si addormentò, fino a quell'insolita mattina di fine gennaio 2002.
Laggiù, in quella che era stata la loro camera da letto, troneggianti dalla parete sopra al camino, erano rimasti i loro sguardi cupi, immortalati in un ritratto color seppia dalla cornice ovale.
Lassù, invece, per molti anni, essi avevano riposato uno di fianco all’altra nel silenzio e nella tranquillità, senza mai sentire la necessità di abbandonare la loro posizione orizzontale e fluttuante per dare uno sguardo sotto di loro ma quella mattina di gennaio qualcosa era cambiato.
Li aveva svegliati quel freddo insopportabile e si accorsero terrorizzati di come fosse improvvisamente difficile mantenersi in equilibrio, perché, a tratti una forza misteriosa li spingeva, li schiacciava, come un vento bizzarro e loro, povere anime color seppia, erano sbalzate di qua e di là, passando dall’abituale posizione orizzontale a quella verticale e poi sottosopra e poi di nuovo orizzontali, come due aquiloni impazziti. In quell’insolito turbinio i folti baffi all’insù di Alfredo si attorcigliarono come quelli di Don Chisciotte; i capelli di Chiara, da tempo immemore raccolti a crocchia sulla nuca, si scompigliarono disponendosi a ventaglio intorno a lei.
Sul portellone laterale del furgone parcheggiato nel cortile della casa spiccava, in una bella tinta fosforescente, la scritta: “Raimondo, lo sgombero solai più veloce del mondo”.
Due operai da qualche ora stavano svuotando le stanze di quella vecchia casa disabitata da anni:
“ Ci vuole del coraggio a comprare una roba così! Guarda qui, il tetto cade a pezzi!” commentava uno di loro.
E l’altro:
“ Adesso è di moda ristrutturare questi rustici; piuttosto sai cosa ti dico? Non capisco perché i nuovi proprietari vogliano buttare tutto quello che c’era qua dentro…ad esempio, guarda questa fotografia…magari era un bel ricordo per qualcuno” e staccò dal muro le due povere anime color seppia che, in quell’istante si svegliarono in quel modo tremendo che già conosciamo.
Nella stanza la temperatura crollò improvvisamente di cinque gradi e un vento siberiano fece sbattere porte e finestre :
“ Ma cosa sta succedendo? Senti che freddo…Dai, finiamo un pò in fretta altrimenti moriremo assiderati!”- e l’uomo gettò sul furgone il ritratto, il cui vetro si frantumò in mille pezzi; nel gelido silenzio di quella stanza il suo cellulare cominciò a squillare sulle note del “Và pensiero”.
“ Hai cambiato la suoneria? Ti sei convertito alla lirica adesso?”- gli chiese il collega.
“ Ma guarda che strano, io non cambio suoneria da anni! Lo sai che ho quella roba là…dai, come si chiama…la Macarena !”
Estrasse il telefono dal taschino e si apprestò a rispondere, guardando il display che lampeggiava a intermittenza e la cui luce, anziché essere verde come sempre, era di un delicato color seppia; dopo qualche istante il fastidioso lampeggìo cessò e a poco a poco si delineò un’immagine, prima sfocata e poi sempre più nitida e il volto dell’operaio assunse un’aria così terrificante che anche l’altro uomo, preoccupato, si avvicinò per capire cosa gli stesse accadendo.
Quello che videro sul display non lo avrebbero mai più dimenticato: i due sposi del ritratto color seppia li stavano guardando sorridenti e un pò spettinati; l’uomo, il burbero Alfredo si attorcigliava un baffo intorno al dito e la donna, la tenera Chiara, con la mano mandò loro un bacio, che si posò lieve come una piuma sul viso di entrambi.
I due uomini, pallidi come la luna, si guardarono allibiti e ciascuno vide il volto dell’altro alterato dall’incredulità e dalla paura; rimasero così, immobili come due statue di cera, per un buon quarto d’ora.
Intanto una voce dal cellulare tuonava:
“ Ben mò allora! Siete rimbambiti? Cosa state facendo? Rispondete sì o no? Boia di un mondo ladro…se vi piace scherzare questo non è il momento! Ci sono ancora tre sgomberi urgenti da fare, imbecilli !” – era il titolare, il signor Raimondo, al quale, da quel giorno vennero forti dubbi sul fatto che il suo servizio fosse il più veloce del mondo.

( Sara Ferraglia)

venerdì 14 marzo 2008

La magia di Amin

La magia di Amin.

Avevo traslocato da pochi mesi nella casa nuova.
Fra i mobili che avevo appena acquistato c’erano due divani che non volevo rovinare subito.
Avevo bisogno al più presto di due teli per coprirli ma li volevo strani, particolari e soprattutto molto colorati.
Da sempre mi muovevo in lungo e in largo per la città con la mia vecchia bicicletta perché fa bene alla salute, perché è comoda e perché allarga gli orizzonti.
In che senso? Nel senso che se ti muovi in auto devi badare alla strada, devi arrabbiarti in continuazione per le code che ti tocca sopportare e non puoi nemmeno guardarti intorno.
Se viaggi in autobus è vero che hai più tempo di osservare le persone, di ascoltare, anche di perderti nei tuoi pensieri con lo sguardo fuori dal finestrino ma poi, dopo un pò ti annoi a morte perché il percorso e le persone sono sempre le stesse.
La bicicletta invece va dove ti porta il cuore, per essere sentimentali come quella famosa scrittrice dai capelli corti, oppure va dove ti portano le tue gambe, per dirla in modo molto più terra a terra, oppure va dove ti porta la tua anima , per dirla a modo mio e mentre pedali puoi decidere di cambiare strada all’improvviso, solo perché passare da quel borghetto antico ti piace.
E io faccio spesso così. Ci sono angoli della città dove sento il bisogno di sostare almeno una volta la settimana e la mia bici mi accompagna sempre molto volentieri e soprattutto mi aspetta per tutto il tempo di cui ho bisogno.
Uno di questi “angoli” è la strada che porta alla piazza del Duomo e del Battistero, due piccoli gioielli rosa di questa piccola città.
In quella via c’è un’antica libreria che mi piace perché ha il pavimento di lunghe assi scricchiolanti che quando cammini creano, insieme all’odore di cera e di carta, un’atmosfera che trovo solo lì dentro. Il sottofondo musicale purtroppo c’è ma è molto discreto e ti accompagna con dolcezza nelle tue scelte ( è lì che ho sentito per la prima volta la magica chitarra di Pat Metheny e me ne sono innamorata).
Anche quel giorno che cercavo i teli per i miei divani, mi ero fermata in quella via ed ero entrata in quella libreria , solo pochi minuti , per il piacere di stare in mezzo ai libri.
Guardo l’orologio. Accidenti! Tardissimo! Esco a passo sostenuto e con lo sguardo basso, troppo basso e così sul marciapiede mi ritrovo maldestramente addosso a una persona.
“ Ops…mi scusi” - e guardo chi è.
È un ragazzo di colore con un bellissimo abito lungo, sfondo giallo e disegni tribali neri, esattamente come vorrei i miei copridivani, penso per un attimo.
“ Vuoi comprare questo portafortuna?” – e mi mostra un sassolino scuro che io guardo perplessa.
“ No, davvero, scusami ma ho una fretta tremenda”
“ Guarda. Aspetta …di che segno sei”?
Ahi, ahi…mi ha toccato nel mio punto debole! Se mi parli di segni zodiacali facciamo notte!
“ Sono dell’ariete, perché ”?
“ Perché allora devi comprare questa pietra” – e ripone il sassolino nero, estraendo da una tasca una pietra rossa che a me sembra di comunissima plastica.
Non ne ricordo il nome e non è nemmeno importante, perché quello che conta è che mi sono fermata lì con questo ragazzo anziché scappare via.
Lui mi parla della buona sorte, della magia che viene dal cuore, delle pietre che non sono oggetti morti e freddi ma vivono e ci danno forza,insomma tutto un misto di teorie new-age , yoga e tutto quanto va di moda in questi anni.
“Senti, io devo proprio andare adesso perché devo cercare dei copridivani e fra mezz’ora i negozi chiuderanno, capisci”?
“Io capisco. Mio fratello Amin ha i copridivani che piace a te. Ti porto”.
“ E va bene, dai, dov’è il negozio? Lontano? ”
“ No, qui dietro” – e giriamo l’angolo .
Intanto lui parla, parla, racconta che viene dal Senegal, che si chiama Kader, che laggiù ha due bambini e che appena avrà i soldi e una bella casa tornerà a prenderli e li porterà a vivere qui.
Mi vergogno mentre penso che non mi interessa la sua vita, che queste persone hanno storie un po’ tutte uguali e che forse mi sta dicendo un sacco di balle ma poi penso che è molto più facile essere tutti uguali nella miseria che nella ricchezza.
Lui continua a parlare e io sono un po’ nervosa perchè ho fretta, perché non volevo fermarmi con lui, perché chissà dov’è questo Amin e se davvero è suo fratello….perché sono nervosa e basta.
Per fortuna arriviamo in una via affollatissima e ci fermiamo davanti a un negozio, ”La magia di Amin” si chiama. Accidenti….la magia? Ma che è sto posto?? Se fossi un po’ superstiziosa, quella storia dei segni zodiacali, del portafortuna…ecco...adesso non entrerei ma non la sono ed entriamo. C’è nell’aria un profumo dolcissimo e un po’ nauseante.Anche qui c’è un sottofondo musicale discreto, percussioni e suoni africani, immagino.
Mi guardo intorno e vedo un posto pieno di colore, solo colore è quello che percepisco in un primo momento .E allegria e cordialità e voglia di danzare, di muoverti al ritmo di questa musica irresistibilmente calda.
Lo paragono per un attimo al negozio dove sono entrata ieri. Commessa pallida, biondina gelida che mi mostra degli anonimi teli a fiorellini alla bellezza di 75 Euro l’uno!! E poi nemmeno mi piacevano. E lei , alla fine era anche un po’ infastidita per il fatto che non mi erano piaciuti.
Qui invece si sta bene.
Kader si sporge un po’ verso l’alto e urla:
“Amin……”- segue una lunga sequenza di suoni e un colorito accostamento di sillabe che formano parole assolutamente incomprensibili per me.
Da una scala a chiocciola scende Amin.
Capelli ricci e biondi sul viso ovviamente scurissimo! Un pugno in un occhio, che vuol dire, un accostamento che stride da morire!
“Ciao. Tu vuoi teli colorati per i tuoi divani?” e sfodera un sorriso di quelli che hanno loro con quei denti bianchissimi.
“Sì, hai qualcosa da farmi vedere?” - mi sento un po’ strana, un leggero mal di testa, un senso di nausea, che sia questo profumo??
“Guarda questo che bello! E questo…e ancora questo…..40 euro soltanto”.
Sono circondata dai teli colorati! Me li sta stendendo ai piedi come a una regina, me li appoggia sulle spalle, ne mette uno sulle sue come un mantello e non finisce mai di mostrarmene, come se li estrasse dal magico cilindro di prestigatore.
Ma qui il trucco non c’è…forse…e mi gira la testa ancora di più…
Sono immersa nel colore, nel suono e nel profumo dell’Africa…
Eccolo.Lo vedo il telo uguale al vestito del fratello di Amin e cerco di uscire da questo strano torpore.
“Scusami, questo…questo mi piace molto…fai vedere…che misura ha?”
È perfetto per me, è quello che cercavo.Sì ne prendo due uguli. Ecco li pago. Ho fretta…tanta fretta, vorrei uscire da qui…
Amin prende una borsina di plastica bianca e mi allunga il mio prezioso pacchettino.Saluto entrambi e loro mi danno la mano. Quanta cortesia per soli 80 euro! Esco contenta, davvero, mi piacciono i teli e poi qui fuori respiro meglio e tutto quel nervosismo mi è passato. Sono rilassata e fischietto mentre torno verso la mia bicicletta, là nel borghetto che porta al Duomo e al Battistero,davanti alla vecchia libreria.
Cammino in fretta ma questa volta il mio passo è ritmato non dal nervosisimo ma dalla leggerezza d’animo. Ho sempre lo sguardo basso e…ops…..ancora una volta mi ritrovo addosso a una persona…
“Scusi…non l’avevo vista” e la guardo e mi cade la borsina di plastica con dentro i miei teli.
È una vecchietta elegantissima, con tanto di cappellino e di veletta che mi fa pensare alla nonnina di Gatto Silvestro, solo che questa non è gentile ed educata e comincia a gridare con una vocina antipatica e stridula :
“Ma stia attenta a dove cammina, non vede? Mi ha pestato un piede, accidenti a lei!Ma che cafona e poi smettetela tutti di stare qui sui marciapiedi a vendere queste schifezze, andate a lavorare seriamente, piuttosto! Oppure é ancor meglio se ve ne tornate tutti a casa! ”
Ma che dice questa? Mi giro per vedere con chi parla, forse con Kader, di certo non con me.
E mentre mi chino per raccogliere la mia borsina mi vedo i piedi….neri che calzano le ciabattine di corda come quelle di Amin e poi lo sguardo sale.
Il mio vestito è lungo, colorato coi disegni tribali, come i teli del negozio.
Mi tocco i capelli…treccine fitte fitte sul mio capo!
Mi avvicino alla vetrina della libreria e quello che vedo riflesso è un ragazzo nero.
Vedo Kader…ma sono io, sono bianca, abito in questa città. Che succede? Questo profumo mi stordisce di nuovo! Questa musica mi martella le tempie…eppure dentro sono leggera, sono contenta…ho appena comprato quei teli colorati che mi piacciono tanto….ecco, sono qui nella borsa…
Apro la borsina di plastica, metto dentro una mano e la tiro fuori piano, piena di sassolini colorati e l’allungo verso la signora isterica.
“Vuoi comprare porta fortuna?”

( Sara Ferraglia)

martedì 11 marzo 2008

Non si maltrattano così le signore



Ripropongo oggi un racconto che scrissi anni fa e che, nel frattempo, è comparso

su Viadellebelledonne : http://viadellebelledonne.wordpress.com/?s=non+si+maltrattano+cos%C3%AC+le+signore

su Blogolonelbuio : http://blogolonelbuio.blogspot.com/2011/01/racconto-non-si-maltrattano-cosi-le.html



( Donna allo specchio - Picasso )
Non si maltrattano così le signore.


Mi sono accomodata sulla poltrona del parrucchiere. Poca gente, musica new-age e volume un po’ troppo alto.
“ Arrivo subito da te “ Luca, uno dei ragazzi che lavora lì, rigorosamente vestito tutto di nero, si affaccia dall’altra stanza per poi sparire di nuovo.
Rimango sola davanti ad uno specchio immenso e crudele.
Molti anni fa mi piaceva guardarmi, sciogliere i miei capelli neri, lunghi e lisci nell’attesa che arrivasse chi doveva prendersi cura di loro e poi spostarli tutti sulla spalla reclinando il capo, con un gesto lento, studiato, lezioso e guardarmi nello specchio, fissarmi negli occhi scuri, grandi e accesi. Accadeva molti anni fa. Ora lo specchio è crudele perché non mi concede nulla. Non ho più capelli neri da sciogliere, perché da qualche tempo li porto corti, con la scusa che meglio si adattano alla mia personalità; in realtà lo faccio perché sono pratici, li posso lavare ogni mattina sotto la doccia e con le sole mani in pochi minuti li posso acconciare. E poi il capello lungo ad una certa età fa “dietro trofeo, davanti museo”. E poi il capello lungo ha bisogno di cura e attenzioni che solo un parrucchiere può dare, altrimenti si spezzano, si formano le doppie punte…E poi, e poi, accidenti, chi se ne frega del perché ho i capelli corti! Sono tutte elucubrazioni mentali che vogliono solo esorcizzare il tempo e la paura di vedere riflesse in questo specchio le tracce che questo mostro ha lasciato sul viso, sul collo, sui capelli.
“ Eccomi. Ciao, come stai?” dice Luca che con un balzo è tornato dietro le mie spalle.
In realtà non gliene frega niente di come sto io e quindi freddamente rispondo:
“Ciao a te, cosa facciamo coi miei capelli?”
“Dimmi tu, cosa vuoi?”
Un’altra cosa che da un pò di anni faccio fatica ad accettare (credo più o meno da cinque anni o giù di lì ) è questa facilità che hanno i giovani di darti del tu. Una mia amica dice che a lei piace perché la fa sentire a suo agio, invece a me fa sentire fuori posto.
Mi tocco i capelli, li giro e li rigiro fra le dita e poi decido:
“Taglia. Un bel corto tutto sfilatino.”
Luca canticchia e prende da un cassetto una mantella nera così non mi si appiccicheranno tutti i capelli sui vestiti.
Sbandierando come un toreador mi avvolge in quella nuvola sintetica e chiude il tutto stringendo il laccetto di velcron sulla mia nuca.
A quel punto il mio collo subisce una rapida trasformazione e la pelle si raggrinza, si affloscia, si piega e io mi sento un visitor, un E-t appena sbarcato su madre terra!
“Scusami, ho forse stretto troppo?”
“ Un pochino!” gli rispondo col volto paonazzo.
Luca allenta il laccetto e il mio collo si distende di nuovo e torna alla normalità come pure il mio colorito e il ragazzo, sempre canticchiando inizia a tagliuzzare qui e là sulla mia testa.
Continuo a guardarmi nello specchio, che mi sembra sempre più grande e sono rigida come un baccalà, con tutti i muscoli del mio corpo in massima tensione.
Una volta, credo circa dieci anni fa o giù di lì, (incredibile come, ultimamente, mi venga naturale e urgente quantificare il tempo) mi capitava raramente di non sentirmi a mio agio in qualsiasi situazione mi trovassi mentre ora, ogni tanto, divento Dottor Jackil o Mr.Hide e subisco queste strane metamorfosi.
La porta a vetri del negozio si apre e insieme ad una folata di gelo entra qualcuno.
“Ciao caro, come stai? Hai tempo per me che ho un po’ fretta? Come mi trovi? “ la voce un po’svenevole precede di qualche istante l’immagine di una stupenda ragazza che ora si riflette nello specchio divenuto, per l’occasione, improvvisamente benevolo.
Mi chiedo come farà Luca a rispondere contemporaneamente a tre domande precise e a mettersi subito a sua disposizione poiché sta lavorando sulla mia testa.
Lui prima con quella strizzatine di velcron ha messo a disagio me e quindi ora aspetto di vedere il suo imbarazzo nel dovermi mollare su due piedi! Eh sì ragazzino, qui ti voglio!
“ Ciao bellissima, bene grazie e tu? Ma certo, sarò da te fra pochi minuti e ti trovo splendidamente in forma “ si gira verso la scala e chiama Anna, pregandola di venire subito a sostituirlo.
Mi sorride, si allontana camminando a ritroso e intanto mi dice:
“Scusa sai. Io qui ho finito e ti asciugherà Anna. Non ti dispiace vero? Grazie.”
Ecco come ha fatto. E se l’è cavata anche bene. Sarà grazie all’esperienza o sarà per quella massa di riccioli rossi e quella fila di denti bianchissimi che gli stanno davanti?
Non ho nemmeno il tempo di rispondere che lui è già sparito nella stanza accanto seguito da una fresca e svolazzante scia di profumo.
Torno a girarmi verso lo specchio, sempre più rigida, sempre più baccalà e intanto alle mie spalle arriva Anna, che, un po’ infastidita mi saluta con un secco “buongiorno” e una veloce strizzatina di velcron, così mi trasformo di nuovo, prima in E-T e subito dopo in Mr.Hide.
Sento il mio volto farsi di nuovo paonazzo e i battiti cardiaci accelerare come impazziti.
“ Senti ragazzina, allenta subito questo laccio che mi stai strangolando “- le dico con una voce quasi gutturale, che suona nuova anche alle mie orecchie – e poi corri di là e dì a Luca che gli devo parlare immediatamente, capito? Vai!!!”
Mi strappo via il mantello da toreador, mi alzo in piedi di scatto pregustandomi il momento di gloria che avrò quando mi troverò davanti quello stronzetto di Luca…Gliele canterò in rima, gli dirò quanto è stato maleducato e che non mi vedrà più nel suo negozio e gli dirò anche che mi dava tremendamente fastidio quando si rivolgeva a me con quel “tu” troppo facile e gli dirò che non è mai stato capace di mettermi a modo la mantellina sulle spalle! Oh, ma quante gliene dirò!
Luca arriva e io troneggio su di lui come una regina disadorna (citazione da uno dei miei autori preferiti) mani sui fianchi da brava “rezdora”, capelli dall’acconciatura spaziale e fumo che mi esce dalle narici come ai tori nell’arena.
“Dimmi, che problema hai?”
Mi da del tu e mi fa anche una domanda precisa: che problema ho.
Che problema ho?
Ne ho mille di problemi e non uno. Il più grosso è che ad una domanda precisa in una situazione di disagio, non mi viene mai la risposta che vorrei.
Qualche secondo di silenzio e poi…le braccia mi scivolano lungo i fianchi, i capelli mi si afflosciano e la mia statura immensa torna nella norma.
Con una vocina flebile e tremula che non mi appartiene per nulla, esattamente come non mi apparteneva quella roca di prima, dico :
“ Non si maltrattano così le signore” … divento rossa come un papavero e penso…meno male che leggo molto e vedo molti film, così qualche volta mi vengono le risposte giuste al momento giusto!


Titolo Film
NON SI MALTRATTANO COSI' LE SIGNORE
Anno
1968
Titolo originale
NO WAY TO TREAT A LADY
Durata
107
Vietato
14
Origine
USA
Colore
C
Genere
DRAMMATICO
Formato
TECHNICOLOR
Tratto da
ROMANZO DI WILLIAM GOLDMAN

(Sara Ferraglia)